Ieri l’UE ha presentato il 19esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tre Mig-31 sono entrati nello spazio aereo europeo
Tre Mig russi hanno invaso ieri lo spazio aereo della Lettonia e sono stati contrastati da F-35 italiani. Un episodio ad alta tensione che ha messo in allarme il comando operativo NATO e le autorità europee, già preoccupati dall’incursione dei droni russi (disarmati) caduti in territorio polacco e dalla dichiarazione di Putin sui “700mila soldati russi schierati in Ucraina”.
“Gli sconfinamenti non sono nuovi e avvenivano anche prima della guerra. L’ultimo episodio è del maggio scorso, nel 2024 ce ne sono stati sei. È una provocazione studiata” spiega Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, ma la sua importanza va ridimensionata.
A preoccupare, secondo Boni, dovrebbe essere piuttosto il fatto che l’Europa sta continuando il confronto con la Russia per conto degli Stati Uniti. Una trappola strategica nella quale l’UE ha solo da perdere, ma dove i leaders del continente continuano ad apparire a loro agio.
Ieri la Commissione europea ha presentato il 19esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, che per entrare in vigore dovranno essere approvate all’unanimità dagli Stati membri. Il provvedimento è mirato contro le importazioni ancora in essere di GNL russo da parte di 8 Paesi europei, transazioni finanziarie e banche russe e navi della cosiddetta flotta ombra. Nei cieli del Baltico la risposta del Cremlino.
Generale Boni, cos’è cambiato tra il summit di Anchorage e il 19esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia deciso ieri dalla Commissione UE su pressione americana?
Non è cambiato nulla, perché l’atteggiamento europeo è quello di continuare il confronto con la Russia per conto degli Stati Uniti. Oggi gli USA appoggiano di fatto il progetto della coalizione dei cosiddetti “volenterosi”.
Ossia il dispiegamento in territorio ucraino di truppe appartenenti a Paesi Nato, dopo il cessate il fuoco, a garanzia di Kiev.
Precisamente. Un piano che potrà realizzarsi non nei prossimi giorni, naturalmente, ma soltanto quando i russi decideranno di terminare la loro avanzata.
Forse giova ripeterlo: perché le scelte d Bruxelles sono così subordinate a quelle dell’amministrazione Trump?
Nel disegno generale degli USA, la Russia doveva essere la prima vittima del processo di espansione della potenza americana. La destabilizzazione dell’Ucraina e l’utilizzo del regime di Kiev in una guerra per procura contro Mosca rispondeva alla logica neocon di assicurare tale espansione mediante la sconfitta strategica dei competitors più importanti, impedendo agli altri di emergere. Tutte le amministrazioni statunitensi hanno sposato questa visione e purtroppo lo ha fatto anche l’Europa. Il calcolo tuttavia si è rivelato clamorosamente sbagliato.
E Trump?
Trump ha capito che la guerra costava e costa troppo. Inizialmente si era proposto di chiuderla “in 24 ore”, ma questo si è rivelato più complicato del previsto e allora ha deciso di farne pagare i costi all’Europa, caduta in pieno nella trappola. Oggi l’UE, nel linguaggio e nei fatti, sta continuando a mantenere elevata la confrontation con la Russia per conto degli americani.
A fine ottobre il programma PURL (Prioritised Ukraine Requirements List) consentirà all’Ucraina di disporre di 3,5 miliardi di dollari di armi USA fornite dagli alleati europei della NATO.
È la prova di quanto stiamo dicendo. D’altronde, se Trump veramente avesse voluto terminare la guerra in pochissimo tempo, avrebbe fatto altre scelte. Che in realtà potrebbe fare anche adesso.
Ad esempio?
Innanzitutto smantellare il centro di Comando NATO per il supporto all’Ucraina (NSATU, NATO Security Assistance and Training for Ukraine, ndr), sotto controllo statunitense e britannico, insediato nel luglio scorso a Wiesbaden, in Germania, e tutta la struttura di intelligence ad esso collegata. Se vuoi finire veramente la guerra, converti i tuoi assetti strategici. Ma ciò non avviene.
È questa la vera trattativa che non sta avendo luogo?
Certamente. In questo modo, le “cause profonde del conflitto” sulle quali insiste Mosca continuano a non essere rimosse.
L’Unione Europea ha intensificato le sue azioni di contrasto alla Russia dopo l’episodio dei droni caduti in territorio polacco. Qual è il bilancio di questa vicenda?
Semplicemente disastroso. La vicenda dei droni è difficile da commentare, anche in termini militari, per la grossolanità e la superficialità con la quale è stata trattata. Per quanto riguarda il missile NATO caduto sull’abitazione di Wyryki, il presidente Nawrocki – che è il comandante supremo delle forze armate – ha ammesso che nessuno lo aveva informato. Significa che c’è una parte della Polonia che probabilmente non è allineata col presidente. In più, gli stessi polacchi hanno ammesso che non c’è stata nessuna violazione dello spazio aereo polacco da parte dei russi. È chiaro che siamo davanti ad un cortocircuito che non è nato in Russia.
Il segretario generale NATO ha parlato di stress-test dell’Alleanza perfettamente riuscito.

È vero l’opposto. Siamo davanti a un deficit procedurale molto grave, che dimostra che non siamo pronti neppure a valutare e ad attribuire una ipotetica azione di violazione dello spazio aereo di un Paese NATO.
Putin ha detto di avere 700mila uomini al fronte. Come va interpretata la sua dichiarazione?
È un messaggio che va in due direzioni. Innanzitutto sta a dire che la compagine russa si accresce, e c’è da crederlo, perché le informazioni dicono che l’arruolamento dei volontari, che sono ben remunerati, procede bene e non si ferma. In secondo luogo, a mio avviso è un messaggio ai comandi ucraini, che hanno sempre meno risorse umane da mettere in campo e arruolano persone sempre più giovani con la forza.
A Bruxelles la dichiarazione del capo del Cremlino è stata recepita come una minaccia, quasi l’avvertimento di una possibile invasione.
Qualunque militare sano di mente avrebbe il dovere di smontare questa ipotesi. 700mila uomini sono una componente terrestre molto più robusta di quella che la Russia aveva all’inizio dell’operazione, pari a 333mila unità di terra. Questo perché il futuro dell’esercito russo non è quello di tirare dritto verso il resto dell’Europa, ma di rafforzare i futuri confini disponendo di un numero di effettivi in grado di respingere eventuali altri attacchi non tanto dell’Ucraina, quanto di eventuali forze NATO.
Dunque l’ipotesi che la Russia intenda impegnare su qualche confine europeo le sue truppe…
Attualmente è un controsenso. Mosca ha altri mezzi per colpire l’Europa, a cominciare dai missili ipersonici e intercontinentali.
Non si parla più di garanzie.
Gli Stati Uniti garanzie di sicurezza dell’Ucraina non sono intenzionati a fornirne. Trump è stato chiaro su questo punto. Per gli europei, oggi negoziare significa solamente schierare truppe che possano scongiurare possibili attacchi della Russia. Come sappiamo, è una proposta che provocherebbe una escalation.
Si va in una direzione opposta a quella della conclusione del conflitto?
Questo è ormai evidente. L’attuale leadership europea e NATO, non potendo ammettere il fallimento, è costretta in qualche modo a continuare in un disegno controproducente e senza senso. La guerra alla Russia è l’unica narrativa accettata, l’unica forma di pensiero unico che prevale. Ma la cosa ancor più grave è un’altra.
Quale sarebbe?
Non solo non c’è alcun confronto serio su come arrivare a un compromesso che possa soddisfare le richieste dei russi e il bisogno di pace della controparte ucraina, ma neppure si parla di quale Ucraina ci potrebbe essere dopo la guerra.
Si spieghi meglio.
Prima questione: dove si fermeranno i russi? Seconda questione: che cosa rimarrà dell’Ucraina sotto il profilo istituzionale e politico? Uno Stato neutrale? Se armato, in quali limiti e con quali meccanismi di controllo della sua sicurezza? Non quelli di Minsk, perché tutti – in Occidente lo ha fatto perfino la Merkel – hanno ammesso che quegli accordi avevano il solo scopo di permettere a Kiev di guadagnare tempo per armarsi.
Eppure gli analisti ne parlano continuamente.
Sì, ma è un dibattito che non interessa le sedi e gli attori politici, coloro che per primi dovrebbero produrre e governare la stabilità.
Due giorni fa Bloomberg ha scritto che dal Regno Unito alla Polonia, l’Europa sta diventando un continente ingovernabile. Instabilità politica, consenso crescente dei partiti euroscettici, crescita economica al minimo, aumento dei rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine. Che cosa ci aspetta?
Un possibile effetto domino della guerra non si può escludere. Poiché le attuali leadership difficilmente ammetteranno le proprie responsabilità, potrebbero essere costrette a farlo da altri attori che giudicano la situazione non più sostenibile per l’Europa stessa.
Cosa significa?
La politica è sempre più debole. A decidere sono i mega-fondi di investimento a dimensione globale, i grandi fondi bancari. Le leadership politiche potrebbero reggere finché sarà utile a quei poteri, dopodiché si dovrà cambiare rotta. Un fatto è certo: i criteri che orientano questi decisori non hanno nulla a che vedere con l’interesse pubblico dei cittadini europei. Figuriamoci di quelli ucraini.
(Federico Ferraù)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
