Il governo ha blindato il testo della riforma della giustizia e impedito ogni emendamento, censurando il metodo più saggio per cambiare la Costituzione
Nelle posizioni politiche e nei commenti sul disegno di legge Nordio-Meloni per la revisione costituzionale dell’assetto e il funzionamento della magistratura, l’attenzione è stata rivolta al merito. I rischi maggiori, però, stanno nel metodo ancora una volta seguito in Parlamento: è l’ennesima violenza alla cultura fondativa e imprescindibile e alla prassi della democrazia sostanziale: la riscrittura, insieme, o almeno con una larga condivisione, delle norme fondamentali di regolazione di una comunità.
Madri e Padri costituenti, all’art. 138 della nostra Carta, l’avevano indicato in modo chiaro. La via ordinaria per la revisione delle norme costituzionali è la maggioranza dei 2/3 di ciascuna delle Camere. Le quattro letture sono fissate per consentire rilievi, ascolto reciproco, emendamenti di compromesso oltre il recinto della maggioranza politica di turno. L’approvazione a maggioranza di governo è via residuale. Anzi, eccezionale.
Venne considerata così pericolosa da affidare, obbligatoriamente, la validazione delle revisioni costituzionali al popolo attraverso un referendum.
Nel caso in questione, il governo ha blindato il testo e impedito ogni emendamento, nonostante l’amplissimo consenso di costituzionalisti di ogni orientamento dottrinario e politico per correzioni di primaria rilevanza o semplicemente per il buon funzionamento dell’amministrazione e nonostante i rilievi di organismi tecnici come il Servizio Studi di Camera e Senato.

Si è rivissuto, sostanzialmente, quanto avvenuto per la cosiddetta Legge Calderoli per l’autonomia differenziata. Non era, quella, una legge formalmente di rango costituzionale. Ma lo era, lo è, nella sostanza. La Corte Costituzionale è dovuta intervenire per riscriverla da cima a fondo. Ennesima umiliazione per la classe politica.
La sciagurata prassi delle modifiche costituzionali a colpi di maggioranza politica l’ha inaugurata il centrosinistra nel 2001, proprio con la modifica, sgangherata e improvvisata, del Titolo V della Costituzione in limine mortis della legislatura.
L’ha poi proseguita il centrodestra nel 2005, con la maggioranza berlusconiana, nel tentativo di portare a compimento un’ampia mutazione istituzionale. Sonora arrivò la bocciatura nel referendum del 2006. Lo stravolgimento della cultura costituzionale è andato avanti, come un carro armato, con la maggioranza renziana nel 2016. Anche qui, schianto nel voto popolare.
In verità, con Matteo Renzi abbiamo fatto un ulteriore passo verso il baratro democratico: non soltanto l’approvazione a colpi di maggioranza della legge elettorale, anche qui divenuta prassi, ma la sostituzione dei deputati e deputate del proprio gruppo parlamentare in Commissione Affari Costituzionali per imporre il diktat del governo.
Ora, soltanto il popolo sovrano, nel referendum del prossimo anno sulla Legge Nordio-Meloni, può spingere i nostri irresponsabili e pericolosi legislatori, tanto a destra quanto a sinistra, a riprendere la strada della democrazia costituzionale. Ripeto: una valutazione, prima che di merito, di metodo per fermare l’involuzione politica e democratica in corso. È un male per tutti e tutte.
P.S.: nella campagna per il No, i partiti del centrosinistra dovrebbero anche impegnarsi, solennemente, a non ripetere l’infausta prassi inaugurata nel 2001. Utile anche analogo impegno da parte del M5s.
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