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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Premio Pieve Saverio Tutino, nei “nostri” diari la carne viva di un popolo

  • Letture e Recensioni
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LETTURE/ Premio Pieve Saverio Tutino, nei “nostri” diari la carne viva di un popolo

Alessandro Artini
Pubblicato 22 Settembre 2025
Saverio Tutino (1923-2011) (Ansa)

Saverio Tutino (1923-2011) (Ansa)

Pieve Santo Stefano (Arezzo) è la capitale del diario. Ieri è stato assegnato Il 41esimo "Premio Pieve Saverio Tutino" dedicato alla diaristica

Il 41esimo “Premio Pieve Saverio Tutino”, che si è svolto presso l’Archivio Nazionale Diaristico di Pieve Santo Stefano (Arezzo) si è dipanato in quattro giorni, dal 18 settembre fino a ieri, domenica 21, con la manifestazione finale. I giorni che hanno preceduto la proclamazione del vincitore sono stati intensi e hanno ripercorso l’intera storia dell’archivio, nato nel 1984 ad opera del giornalista Saverio Tutino, tra i fondatori di Repubblica, che ha dato il nome al premio stesso.


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Esso oggi ospita un tesoro di 10mila fra diari, memorie, autobiografie ed epistolari. Il titolo del premio di questo anno è il “Ritorno della memoria”, che in effetti va indietro al 1945, al termine cioè della seconda guerra mondiale. È opportuno ricordare che una delle condizioni di partecipazione al Premio è che lo scritto sia inedito e non elaborato da professionisti della scrittura.


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Ieri pomeriggio, finalmente, si è avuta l’assegnazione del premio di quest’anno.

Com’è noto a Pieve c’è una giuria popolare che fa una cernita iniziale tra le opere che annualmente vengono ricevute dall’archivio. Ne deriva una selezione di otto diari che vengono affidati a una commissione di intellettuali ed esperti cui compete la scelta del vincitore.

La giuria popolare, tuttavia, rappresenta un’aspetto molto importante, perché si ha il coinvolgimento volontario di parte della piccola comunità di Pieve Santo Stefano (3mila abitanti) nella valutazione dei diari.

La lettura, dunque, è collettiva e in tal senso rimanda a quel tipo di oralità, ben viva nelle terre toscane del mondo preindustriale, che si realizzava attorno al focolare domestico. Si trattava di racconti atti a produrre socialità, cioè quel tipo di relazioni che anche oggi si attuano nella comunità di Pieve e che portano le persone a interloquire sulla qualità degli scritti diaristici e sulla loro rilevanza.


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Previa la valutazione della giuria popolare, sono pervenuti alla selezione finale gli otto scritti che constano di epistolari, storie di guerra e di emigrazione del secolo scorso e anche di storie di donne contemporanee.

(Pixabay)

Come mai i giorni del premio sono nutriti da un folto pubblico di spettatori appassionati e spesso inclini a commozione? Si direbbe che quei giorni siano momenti di forte empatia, intervallati da numerosi e fragorosi applausi, in cui pubblico e autori si identificano con emozioni condivise. Si avverte un forte bisogno collettivo di emozioni autentiche, non artefatte dall’odierno storytelling commerciale o politico. Le autobiografie, infatti, raccontano la vita autentica e, a lato di alcuni momenti di serenità o di gioia, compaiono spesso le avversità o, più in generale, la negatività delle esistenze, che usualmente viene espulsa dalla società attuale come dissonante con i trend del consumo.

La nostra società considera infatti il dolore e la morte come incidentali, anzi presumendone la superabilità tramite l’eternizzazione informatica. Nel mondo online si sviluppa una continua riproposizione di ciò che è stato, determinando il foreverismo, cioè la “persemprificazione”, come suggerisce il sociologo Grafton Tanner. Si mantengono in produzione le serie televisive di successo mediante i reboot (con delle innovazioni apparenti); addirittura si riportano in vita, online, perfino le persone scomparse, come nel caso di quella bambina coreana, rielaborata sotto forma di avatar per colmare il dolore inconsolabile della madre. Viviamo cioè in una società algofobica, atta a riproporre ciò che è sempre stato, per eludere le sofferenze nostalgiche. Ma violando i nostri  limiti naturali.

Quest’anno hanno vinto ex aequo due carteggi, quello di Vittorio Binotto e Bernardina Casarin, e quello di Eduardo Renato Caianello e Carla Persico. Entrambi sono raccolte epistolari che esprimono una densità di emozioni e uno scambio intellettuale di valore.

Vittorio Binotto è chiamato a combattere nella seconda guerra mondiale e viene spedito in Albania, mentre Bernardina resta in paese, in Veneto, a fare da balia. Si tratta di lettere struggenti, che man mano diventano strazianti seguendo il tragico percorso del giovane coinvolto nella guerra.

Nel secondo epistolario, espresso nella lingua colta ed elegante di due laureati napoletani, lui, giovane fisico, nel 1948 si stabilisce a Boston per studiare al Mit. Ognuno dei due cerca di convincere l’altro ad abbandonare il luogo dove abita, per continuare la vita assieme. Caianello avrà un’importante carriera universitaria in America, lei almeno inizialmente resta a Napoli con la piccola figlia Dora.

Sono storie appassionanti, che, oltre a indicare fonti importanti per la storiografia, evidenziano anche una formidabile valenza ermeneutica per la ricerca sociologica. A questo riguardo occorre ricordare lo straordinario lavoro di due sociologi, Thomas e Zaniecki, fondatori della disciplina, che con il ricorso ai carteggi e ai diari hanno compiuto uno straordinario lavoro di ricerca sull’emigrazione polacca negli Stati Uniti, agli inizi del secolo scorso. Da questo punto di vista, si constata anche la straordinaria importanza scientifica dell’Archivio Nazionale Diaristico di Pieve Santo Stefano.

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Tags: Arezzo


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