Si parla sempre più di finanza blu, ovvero di investimenti in asset che hanno a che fare con l'economia del mare
Gli investitori globali sanno che la finanza sostenibile è ormai entrata a far parte del loro portfolio, attraverso i Green Bond, alla transizione energetica o anche all’edilizia a basso impatto ambientale. Eppure non tutti ancora sanno che c’è una new entry nella finanza green che da poco attira capitali e potrebbe diventare presto la prima scelta per i loro investimenti green: la cosiddetta Finanza Blu.
Tutto qui – strumenti, programmi e capitali- si focalizza sul mare, considerato una vera forza strategica per generare crescita, innovazione e potenziale occupazione. D’altronde la Blue Economy oggi non è affatto marginale, secondo il Blue Economy Report 2025 della Commissione europea, ha un valore di oltre 650 miliardi di euro in Europa e in Italia, secondo l’ultimo rapporto Ossermare, l’economia del mare genera – se si considera anche l’indotto – più di 215 miliardi di euro, ovvero l’11,3% del Pil nazionale.
La previsione di crescita per la Finanza Blu per i prossimi anni è molto rosea: viene stimato che accrescerà il suo valore sino ad arrivare entro il 2030 in Europa a oltre 200 miliardi di euro di raccolta (dato EIT Blue Economy). Il trend viene confermato dal report An Ocean of Opportunities di BlueInvest (2023), dove l’ 87% degli investitori intervistati ha dichiarato di investire già nella blue economy sostenibile, o di avere intenzione di farlo, e la quota media del portafoglio destinata a investimenti blu è pari a circa 28%.
Anche PwC – nel Global ESG Financial Services Survey 2024 – ha rilevato che gli investitori europei prevedono di incrementare l’esposizione per finanziare progetti volti alla tutela degli ecosistemi marini e alle tecnologie offshore entro il 2026.
Sicuramente il Mediterraneo, che nonostante il suo specchio d’acqua sia minore dell’1% della superficie oceanica mondiale viene attraversato da un quarto del traffico marittimo globale, risulta prolifico di nuove start-up della Blue Tech, che portano sul tavolo degli investitori soluzioni tutte green da finanziare.
La logica è chiara: gli investitori cercano oggi ritorni economici – secondo PwC e BloombergNEF i progetti offshore dell’eolico galleggiante possono arrivare anche all’8% annuo – accompagnati da un impatto ambientale misurabile, per esempio tonnellate di CO2 evitate, ettari di aree marine ripristinate, MegaWatt installati da fonti rinnovabili marine.
Ma come arrivano i capitali verso un mare più sostenibile? Dopo i Green Bond che nel 2024 hanno superato a livello globale i 550 miliardi di dollari di emissioni (dato Climate Bonds Initiative), ora ci sono i Blue Bond – obbligazioni o titoli di debito – emessi da Governi, istituzioni finanziarie o aziende per raccogliere capitali destinati esclusivamente per finanziare progetti specificamente legati alla salute degli oceani.

La Banca Mondiale ne riconosce l’importanza per canalizzare capitali verso la tutela marina; possiamo citare un paio di esempi, le Seychelles nel 2018 e il Belize nel 2021 hanno utilizzato emissioni obbligazionarie per ridurre il debito sovrano e, al tempo stesso, finanziare la protezione delle proprie aree marine. Mentre la Banca europea per gli investimenti (Bei) ha inserito i Blue Bond tra gli strumenti del portafoglio green.
C’è poi BlueInvest, il programma della Commissione Europea con 145 milioni di euro a favore di start-up e Pmi, ha raccolto oltre 700 milioni di investimenti privati e propone un marketplace in cui chi ha progetti e idee incontra chi vuole investire i capitali.
Anche in Italia, sul modello BlueInvest, troviamo iniziative concrete in Lazio, che attraverso Lazio Innova, nel 2024, ha finanziato più di trenta progetti per la tutela del Mediterraneo e nella Blue Tech, con circa dieci milioni di euro di investimenti (in parte provenienti da fondi europei).
Come abbiamo visto, in Europa sempre più investitori istituzionali, tra cui fondi pensione olandesi e assicurazioni francesi, si muovono verso una finanza blu con maggiore decisione. Allo stesso tempo, si affermano venture capital specializzati come Katapult Ocean in Norvegia o il Sustainable Ocean Fund di Mirova, che supporta decine di start-up attive tra acquacoltura sostenibile, logistica portuale low carbon e software per il monitoraggio delle emissioni.
Accanto ai grandi nomi di fondi internazionali, anche in Italia cominciano a emergere strumenti finanziari che aiutano con capitali ad avere un mare più sostenibile. La Cassa depositi e prestiti, attraverso Cdp Venture Capital Sgr, ha fondi come l’Evoluzione e il Green Transition Fund – 250 milioni di euro – che includono investimenti in energie offshore, monitoraggio ambientale e riciclo nella filiera ittica.
Poi il Fondo italiano d’investimento, impegnato nella portualità innovativa ed Eurizon Capital del gruppo Intesa Sanpaolo che ha lanciato obbligazioni blu. Infine, Generali Investments inserisce tra le strategie di investimento a medio-lungo periodo iniziative legate alla biodiversità marina e alla resilienza costiera.
Ormai gli addetti lo sanno, la Finanza Blu non si può più considerare per pochi intenditori, anche in Italia sta trovando interesse e spazio di crescita, confermando che il mare è, sempre di più, un forte asset per la finanza sostenibile.
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