Ieri è iniziato il Salone dell'auto di Torino, con un'importante presenza cinese. L'industria europea è in deficit di competitività
Nel pieno della crisi del settore auto, ieri ha preso il via il Salone di Torino. Insieme ad alcuni dei marchi più rappresentativi dell’industria europea – Stellantis, Bmw, Ferrari, Lamborghini e Mercedes-Benz – vi sono ben 17 costruttori cinesi (su 50) tra cui Byd, Geely, Dongfeng, Leapmotor, Omoda e Voya. Una vera invasione, come già in precedenti manifestazioni analoghe.
Nulla di nuovo, il Salone di Torino fotografa la realtà dell’automobile nel mondo e la trasformazione che il settore sta attraversando. Sono del tutto evidenti la forza e le ambizioni della Cina per affermare la sua grande industria. I vertici di Byd, Leapmotor e Dongfeng peraltro dichiarano di aver superato i loro rivali europei nella rivoluzione dei veicoli elettrici. Del resto, come sappiamo, l’industria dell’auto cinese pare molto preparata e attrezzata per competere con quella locale. Inoltre, Byd ha di molto ampliato la sua presenza nel mondo, raggiungendo ben oltre 100 Paesi.
Il settore dell’auto è al centro di un grande ribaltamento dei rapporti di forza. Il mondo asiatico – non solo la Cina, anche la Corea del sud – ha fatto un upgrade potente della sua capacità produttiva e oggi, Giappone compreso, presenta l’industria che guida la trasformazione del settore: Toyota, Nissan, Kia, Hyunday, Byd, Geely, Saic, Leapmotor, ecc. Non è solo questione di propulsione, il vero punto è che quello che rende più avanzata l’industria asiatica è l’innovazione tecnologica, a partire dal software.

Il discorso si capisce bene se pensiamo che all’inizio degli anni 2000 la Cina, in particolare, valeva l’8% della produzione manifatturiera mondiale e produceva pochissimi autoveicoli, circa il 5/6% rispetto al totale prodotto nel mondo. Oggi la Cina vale un terzo della produzione industriale globale e produce il 30% delle auto prodotte nel mondo. L’Europa all’inizio degli anni 2000 produceva il 30% delle auto prodotte nel mondo e oggi ne produce sì e no il 15%.
Questa grande contrazione della produzione europea – e dei veicoli europei venduti nel mondo – si spiega in parte come conseguenza del processo di delocalizzazione produttiva, in parte con la crescita dell’industria asiatica. Oggi quella asiatica, non è solo un’industria più potente, è anche un’industria più avanzata dal punto di vista tecnologico. E, quindi, più competitiva.
Per quasi 30 anni abbiamo pensato di produrre in Asia perché costava meno, facendo finta di non vedere che la Cina, in particolare, cresceva in modo impressionante. Nel frattempo, in Occidente esplodeva la crisi di Lehman Brothers (Usa) e quella dei debiti sovrani (Ue). In tutti questi anni abbiamo perso ricchezza, tecnologia e lavoro. Oggi la programmazione economica di Ue e Usa ha il grande obiettivo di recuperare il terreno perduto.
Gli Usa stanno procedendo bene e sono l’economia meglio attrezzata perché, pur avendo delocalizzato molto, sono stati i primi a recuperare attività produttive investendo sul processo di back-reshoring, a partire dal secondo mandato di Obama (2013-2016). E, soprattutto, non hanno mai smesso di investire in innovazione.
Il grande ritardo europeo, invece, è sul piano della tecnologia digitale. Si pensi, per esempio, alla grande logistica. Oggi la logistica rappresenta al meglio la trasformazione dell’industria in servizio. Usa e Cina sono ben attrezzate: gli Usa hanno Amazon e i cinesi hanno Alibaba. L’Europa arriva per ultima all’appuntamento con la trasformazione. La grande piattaforma industriale europea, la Germania, è dentro una spirale preoccupante per l’intero continente. Americani e cinesi, inoltre, hanno fatto investimenti enormi nell’IA; l’Europa è concentrata nella scrittura dei regolamenti.
Il problema è che di sola regolazione e burocrazia si muore. Ora, non crediamo che l’Europa morirà, ma il problema è molto serio.
x.com/sabella_oikos
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