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Home » Esteri » Medio Oriente » SPY GAZA/ Dal mega-business ai nuovi accordi di Abramo, la “rete” di Blair (e Trump) per la Striscia

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SPY GAZA/ Dal mega-business ai nuovi accordi di Abramo, la “rete” di Blair (e Trump) per la Striscia

Int. Sherif El Sebaie
Pubblicato 6 Ottobre 2025
A Gaza City, dopo un bombardamento israeliano, 3 ottobre 2025 (Ansa)

A Gaza City, dopo un bombardamento israeliano, 3 ottobre 2025 (Ansa)

Tony Blair è la figura chiave dell’autorità che gestirà il dopoguerra a Gaza, destinata a un mega-progetto immobiliare. Il ruolo degli Stati arabi

Un’Autorità internazionale di transizione di Gaza con un consiglio internazionale, composto da imprenditori e finanzieri, e tecnici palestinesi che si occuperanno dell’amministrazione. Le istituzioni che guideranno il dopoguerra dovrebbero fare  capo a Tony Blair, ex premier inglese che si è guadagnato i favori USA nella guerra in Iraq, ma circolano già i nomi dei candidati a ricoprire ruoli decisionali.


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Secondo Middle East Eye sarebbero Sigrid Kaag, coordinatrice speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente, Marc Rowan, miliardario del private equity americano, Naguib Sawiris, miliardario egiziano delle telecomunicazioni e della tecnologia, e Aryeh Lightstone, ad dell’Abraham Accords Peace Institute.

Per Gaza c’è un grande progetto immobiliare in cui confluiranno i soldi dei Paesi del Golfo.


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Il piano di Trump, però, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, non è sempre chiaro: i punti sui quali si potrebbe riaccendere lo scontro con Israele sono più di uno.

Nell’Autorità internazionale di transizione di Gaza dovrebbero figurare anche pezzi da 90 della finanza. Cosa ci fa capire sul futuro di Gaza?

È coerente con quello che Trump aveva detto qualche tempo fa, e cioè che vuole possedere Gaza. Evidentemente ci vede un bell’affare immobiliare. Siamo davanti a un pezzo di terreno premium, vista mare, in cui ormai non c’è più niente: è stato distrutto tutto usando l’esercito israeliano come impresa demolitrice. C’è da rifare tutto da capo, partendo dalle fogne fino alle condutture dell’acqua e all’elettricità: è necessario il coinvolgimento di persone che si intendono di progetti immobiliari di grandi dimensioni.


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Quindi?

Si dà il caso che Trump sia proprio uno di loro: le sue società si occupano proprio di questo. C’è bisogno di una combinazione di immobiliaristi e capitale. Per togliere macerie e costruire occorrono soldi: stiamo parlando di un progetto immobiliare imponente.

Nel dopoguerra e nella ricostruzione saranno coinvolti i Paesi arabi, a cominciare dall’Egitto, che, tra l’altro, starebbe preparando una conferenza palestinese sul futuro di Gaza. Che ruolo gioca Il Cairo?

Fin dall’inizio di questa vicenda per l’Egitto la linea rossa era che i palestinesi non se ne sarebbero andati da Gaza, non sarebbero stati ricollocati assolutamente nel Sinai. E proprio per ottenere questo risultato c’è stato un grande impegno diplomatico, anche logistico ed economico. Si è tenuta una serie di conferenze, di vertici, per consolidare una posizione arabo-islamica contro la deportazione dei palestinesi e unificare le posizioni palestinesi al fine di creare un fronte comune favorevole a un governo tecnocratico e a mettere da parte Hamas. Il vertice palestinese che si starebbe organizzando è una tappa di questo processo.

Oltre a questo cosa ha fatto l’Egitto?

Ha cercato di alleviare la crisi umanitaria nel settore di Gaza coordinandosi con organizzazioni internazionali per garantire il flusso degli aiuti, utilizzando l’aeroporto di Arish (Nord Sinai) come principale piattaforma di smistamento e sostenendo circa l’80% degli aiuti. Dal punto di vista operativo, dopo il ritiro egiziano e il rafforzamento della sua presenza presso l’asse di Filadelfia (dall’8 aprile 2024), il Cairo ha esercitato pressione per aumentare l’ingresso di aiuti attraverso il valico di Kerem Abu Salem, lavorando per l’apertura di tutti i valichi: il numero di camion giornalieri è salito a circa 250.

Uno dei nomi candidati ad affiancare Blair nella gestione del dopoguerra è quello di Mark Rowan, che già agisce per conto di investitori sauditi ed emiratini. Chi prende parte alla ricostruzione?

Era chiaro sin dall’inizio che il contributo più grande sarebbe arrivato dai Paesi arabi, soprattutto dai Paesi del Golfo. Forse in questo c’è anche un interesse ad alleviare le sofferenze dei palestinesi, per i quali i fratelli arabi non hanno potuto fare molto. I Paesi arabi vogliono che Hamas non sia più al potere in modo da avviare la normalizzazione degli accordi di Abramo messi in pericolo dalla guerra: ora potrebbero diventare oggetto di una seconda trattativa, della quale la soluzione della questione palestinese sarà un presupposto.

Qual è il ruolo di Tony Blair in tutta la vicenda?

Ha avuto un incarico per studiare la situazione e preparare il piano. In occasione dell’invasione dell’Iraq ha dimostrato di essere un alleato affidabile in questo tipo di operazioni per determinati circoli di potere negli Stati Uniti. Anche la guerra in Iraq è stato un grande business, con grandi contratti per la ricostruzione. Blair all’epoca era al governo nel Regno Unito, si vede che ha dimostrato di essere uno con cui si possono fare affari.

Cosa non convince nel piano di Trump?

Palestinesi in fuga nella polvere sollevata dai bombardamenti israeliani. Gaza City, 15 settembre 2025 (Ansa)

I punti interrogativi sono tanti. Ora tutti vogliono un posto nel board che gestirà la transizione, anche l’Italia. Non si sa, per esempio, per quanto tempo governerà questo organismo a Gaza, né, una volta che avrà finito, a chi passerà il governo: sarà l’Autorità nazionale palestinese? Israele non sembra considerare l’ANP un interlocutore. E poi cosa succederà alla Cisgiordania?

Tra i nomi per il Consiglio che guiderà la ripresa c’è quello di Aryeh Lightstone, coinvolto nella Gaza Humanitarian Foundation e amico di Kushner (genero di Trump), ma anche di Sigrid Kaag, funzionaria delle Nazioni Unite.

Avranno sicuramente un ruolo coloro da cui è partita questa idea: Blair, la Gaza Humanitarian Foundation, coloro che hanno un interesse economico, oltre che politico, nella ricostruzione e nella gestione di Gaza.

E i Paesi musulmani? Ognuno vorrà un suo rappresentante? Se lo avrà l’Arabia Saudita lo reclameranno anche la Turchia, il Qatar e altri ancora?

Sì, ma in cambio dovranno dare qualcosa. Ci saranno delle concessioni, magari non riguardanti direttamente la Palestina. Se la Turchia vuole un posto al tavolo e gli F-35 dagli Stati Uniti, magari rinuncerà a comprare il petrolio russo.

Se l’idea è quella di una grande operazione immobiliare, però, non si è capito ancora bene come verrà ricostruita Gaza. Come sarà?

Non si è capito per chi sarà: potrebbero anche costruire grattacieli scintillanti, palazzi bellissimi, ma se li mettono in vendita non saranno certo i palestinesi a poterli acquistare.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpBenjamin Netanyahu

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