L'aumento dei requisiti per la pensione non può essere fermato, sennò per il Governo il costo sarebbe eccessivo.
I requisiti per maturare la pensione potrebbero prevedere un aumento a causa dell’attuale sistema, che si basa sulle aspettative di vita. Da quando c’è stato il Covid il Governo ha bloccato tale incremento, ma ora il meccanismo ha ripreso a funzionare allo stesso modo di sempre.
Dalle prime stime ISTAT si evince che tra 2 anni (nel 2027), molti pensionati oltre ai 67 anni dovranno maturare altre 3 mensilità. Tuttavia, alcune categorie resteranno escluse dall’incremento, e secondo il DEF eliminare questo meccanismo equivarrebbe ad avere un esborso ingente.
Ci sarà un aumento dei requisiti per la pensione?
Bloccare l’aumento dei requisiti per la pensione significherebbe affrontare un esborso non indifferente, perché a quel punto il Governo si ritroverebbe costretto ad accettare un PIL e un debito pubblico gradualmente più elevato.

Tra 2 anni potrebbero servire 3,3 miliardi di euro e l’anno successivo 4,7 miliardi. Le risorse finanziarie andrebbero recepite dal Bilancio, che però ha già avuto parecchie uscite per il taglio IRPEF (con l’abolizione dell’estensione a 60.000€ per insufficienza nei fondi).
Sia sotto l’aspetto contributivo che anagrafico dunque, le condizioni per lo stato di quiescenza sono sempre più restrittive.
Le intenzioni da parte del Governo
Abbiamo compreso che il meccanismo attuale prevederebbe a prescindere un aumento dei requisiti. Tuttavia, il Governo Meloni non avrebbe alcun modo per poterlo fermare, se non “congelare” soltanto le 2 o 3 mensilità previste dalle aspettativa di vita future.
In tal senso la platea di coloro che verrebbero coinvolti aumenterebbe e la data di nascita non farebbe alcuna differenza. In breve, si lavorerebbe soltanto una mensilità in più rispetto alle “3” previste dalle stime attuali.
Se ciò dovesse succedere è probabile che si inneschi anche la fatidica finestra temporale subentrata altre volte. Stavolta si parlerebbe di un protrarsi di un mese rispetto alla soluzione ordinaria.
L’alternativa – attualmente l’unica – per risparmiare 700 milioni di euro sarebbe quella di far lavorare 3 mesi in più ai nati dopo il 1963, il cui requisito si baserebbe esclusivamente sul sistema contributivo.
