L'IA (intelligenza artificiale) avrà un impatto sempre maggiore sul lavoro di uomini e donne. Può diventare uno strumento per favorire la parità di genere
Le disuguaglianze di genere sono un fenomeno radicato nella nostra società. Il World Economic Forum sostiene che ci vorranno 150 anni per raggiungere la parità economica tra uomini e donne. Ad oggi, una donna su tre ha subito nel corso della sua vita una forma di violenza di genere e in Italia solo una donna su due lavora.
Inoltre, i dati, recentemente esposti con delle installazioni grafiche alla Triennale di Milano nella mostra Inequalities, ci mostrano che il tempo dedicato al lavoro di cura da parte delle donne è in Europa pari a tre volte quello degli uomini, in Italia fino a quattro.
In questo scenario, l’intelligenza artificiale (IA) rappresenta uno strumento che impatterà sulla parità e che offre un’opportunità per colmare il divario tra i sessi. Al tempo stesso, nuovi rischi sono all’orizzonte. Questi aspetti sono stati trattati nella Milano Digital Week tenutasi qualche giorno fa, in un panel dedicato alla transizione digitale e tematiche ESG curato dall’Accademia Innovazione Rigenerazione Sociale Europea.
È presto per valutare l’impatto, positivo o negativo, di questa tecnologia sulla parità di genere: la ricerca scientifica finora condotta è limitata e frammentata. Tuttavia, è bene avviare un processo culturale necessario per navigare con consapevolezza l’avvento delle macchine intelligenti.
Chiedendo all’IA di definirsi, si è identificata con un insieme di sistemi basati su modelli e algoritmi che integrano l’elaborazione di informazioni, conferendo alle macchine la capacità di apprendere ed eseguire compiti cognitivi, come il ragionamento, il processo decisionale e la pianificazione. Date queste caratteristiche, si comprende perché i più recenti studi si stanno interrogando sugli effetti di queste tecnologie in ambiti che vanno dal lavoro alla salute.
Le prime evidenze ci dicono che l’IA potrà aumentare la produttività di un lavoratore dai 0,125 fino a 1,5 punti percentuali poiché consentirà di automatizzare funzioni ripetitive e permettere di concentrarsi su lavori creativi. Ne deriva che le nuove tecnologie intelligenti possono essere sfruttate per colmare i gap di produttività legati al genere. Inoltre, l’IA potrà facilitare la gestione del lavoro domestico, così da alleviare il carico fisico e mentale che ad oggi grava maggiormente sulle donne.

L’IA impatterà sulla natura e sulla domanda di alcune occupazioni. Si stima che il 18% dei lavoratori potrà essere sostituito dai nuovi sistemi intelligenti, in particolare i ruoli di management e decision making. Secondo i primi studi, ad essere più colpiti saranno gli uomini che ad oggi ricoprono queste posizioni. Al tempo stesso, serviranno nuove figure professionali, come scienziati di dati ed esperti di coding.
Essendo le materie STEM prevalentemente appannaggio del genere maschile, gli studi si aspettano che questi nuovi ruoli verranno assunti prevalentemente da uomini. Al contempo, dati i limiti dell’IA nelle competenze sociali, nascerà uno spazio per lavori che richiedono capacità come l’empatia, l’interazione umana e la comunicazione, capacità che ad oggi prevalgono nei ruoli lavorativi ricoperti dalle donne.
Un altro ambito in cui le macchine pensanti stanno prendendo sempre più piede riguarda i processi legati alle risorse umane. Potenzialmente, i sistemi di intelligenza artificiale potrebbero avere meno pregiudizi di un addetto alla selezione umano. Al tempo stesso, gli algoritmi possono perpetrare e rinforzare gli stereotipi legati al genere.
Come hanno evidenziato le professoresse Prefata ed Elass in un loro recente studio, se si chiede all’IA di descrivere il CEO di un’azienda, come risposta si otterrà la descrizione un uomo. Molte aziende già utilizzano l’IA per lo screening dei CV dei candidati. I dati mostrano come, in questa fase, i software errano al ribasso nel calcolare l’esperienza delle donne, ad esempio sottostimandone le competenze, e vi sono ancora molti pregiudizi.
Infine, si stima che i lavori a più alto reddito saranno proprio quelli ad alto uso di IA e che richiedono nuove competenze in materia. Il gap nell’utilizzo dell’IA inizia già nella fase scolastica e i dati suggeriscono che, ad oggi, le donne stanno utilizzando meno questa tecnologia.
È urgente dunque adottare misure per sfruttare appieno l’IA come strumento per la parità di genere.
In primo luogo, occorre implementare moduli formativi per donne e uomini in materia di IA, per evitare che si formi un ulteriore divario. In secondo luogo, è bene che venga garantita la diversità nei gruppi di ricerca dedicati all’IA, al fine di creare algoritmi neutri dal punto di vista del genere, prevenendo nuove forme di discriminazione.
Infine, bisogna promuovere l’integrazione della prospettiva di genere nella ricerca scientifica, identificando le sfide per la parità legate ai nuovi sistemi basati sull’IA. Nel suo piccolo l’Unione Europea lo sta facendo quando nei programmi di finanziamento alla ricerca, come Horizon, richiede di considerare gli impatti legati alla parità di genere.
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