Il numeri dei poveri è cresciuto negli ultimi anni nonostante l'aumento delle risorse destinate a sussidi e sostegni al reddito
La crescita delle persone in condizioni di povertà assoluta è il tratto comune degli ultimi 15 anni, che hanno registrato il raddoppio del loro numero da 2,4 milioni a 5,7 milioni, equivalente al 9,7% della popolazione residente in Italia.
La cifra viene confermata nel comunicato emesso ieri dall’Istat per l’anno 2024, analogamente a quella relativa ai nuclei familiari di appartenenza, 2,2 milioni, equivalenti all’8,4% delle famiglie. Tale condizione risulta particolarmente elevata per le persone provenienti da altri Paesi (1,8 milioni) e per i nuclei composti da soli stranieri (rispettivamente il 35,6% e il 35,2% del totale), con incidenze di 5 volte superiori a quello delle persone e delle famiglie italiane.
La condizione di povertà assoluta risulta particolarmente intensa per le 732 mila famiglie con minori a carico (12,7%), che aumenta in modo esponenziale per la componente dei nuclei stranieri (40%). L’incidenza della povertà assoluta si mantiene più elevata nelle regioni del Mezzogiorno (886 mila famiglie pari al 10,5% di quelle residenti), per le persone con percorsi di istruzione non superiori alla licenza media (12,8%), per le famiglie povere con un lavoratore dipendente (15,6%). Per il 30% delle famiglie straniere la condizione di povertà coincide con la presenza di una persona occupata. Infine, risulta rilevante la condizione abitativa che aumenta l’esposizione per il 22% delle famiglie in affitto.
Gli interventi a sostegno delle persone meno abbienti, in particolare quelli rivolti a sostenere il reddito delle famiglie, sono stati oggetto di numerosi provvedimenti di diversa natura rivolti a prevenire e contrastare il fenomeno. Dal 2015 a questa parte, sono stati varati dal Parlamento tre interventi specifici per integrare il reddito di quelle in condizioni di povertà assoluta – il Reddito di inclusione; il Reddito e la Pensione di cittadinanza; l’Assegno di inclusione e il Supporto alla formazione e al lavoro – che hanno progressivamente riformato i criteri di accesso e l’importo dei sostegni al reddito con l’ausilio delle dichiarazioni Isee.

Questi provvedimenti sono stati oggetto di numerose polemiche, che riprendono vigore nell’occasione della pubblicazione dei dati dell’Istat, tra le forze politiche e sociali favorevoli al potenziamento dei sussidi assistenziali e quelle che hanno messo in risalto la diffusione delle pratiche abusive e l’impatto negativo dei sostegni finanziari per l’accettazione delle nuove offerte di lavoro da parte dei beneficiari.
Sono polemiche che attenzionano le criticità, vere o presunte, dell’erogazione dei sussidi, peraltro comuni ad altri provvedimenti di sostegno ai redditi, ma che non consentono di comprendere la complessità di un fenomeno, quello della povertà assoluta, generato dal concorso di cause diverse: relazionate alle caratteristiche di età delle persone coinvolte, per la dimensione dei carichi familiari, per i disagi di natura fisica o psicologica, per la carenza di lavoro e di istruzione.
Le statistiche dell’Istat evidenziano la particolare incidenza della condizione economica e sociale degli stranieri regolarmente residenti in Italia, che meriterebbe una riflessione specifica sulla sostenibilità delle attuali politiche per l’immigrazione, dato che nel dibattito in corso vengono esaltati i vantaggi derivanti dal contributo dei flussi migratori destinati a convivere con i mercati del lavoro sommersi.
Le due relazioni redatte dai Comitati scientifici per la valutazione del Reddito di cittadinanza hanno offerto ulteriori spiegazioni sulle cause della mancata partecipazione di una parte significativa delle persone e delle famiglie povere derivanti dai criteri di selezione dei beneficiari (ad esempio: il requisito dei 10 anni di residenza in Italia che ha escluso una parte significativa degli stranieri, le soglie di reddito uniche a livello nazionale che non tengono conto delle differenze dei costi della vita locali, le scale di equivalenza per i carichi familiari che penalizzano i nuclei familiari numerosi).
Nell’ultima relazione del Comitato scientifico (2024), che ha sviluppato la valutazione dell’intero ciclo di erogazione del Reddito di cittadinanza con l’ausilio di più fonti statistiche, emerge una rilevante partecipazione ai sussidi, circa il 40% del totale, di nuclei familiari che non riscontravano i requisiti utilizzati dall’Istat per stimare le persone e le famiglie povere, concentrata in particolare nei nuclei composti da una sola persona, motivata per la gran parte dalla scarsa congruità delle dichiarazioni Isee e dall’incidenza delle prestazioni sommerse.
Il passaggio dal Reddito di inclusione introdotto dal Governo Gentiloni nel 2016, che prevedeva una valutazione preliminare delle caratteristiche dei nuclei familiari da parte dei servizi degli enti locali, al Reddito di cittadinanza fondato sul potenziamento del valore dei sussidio finanziario erogato dallo Stato, è avvenuto in assenza di un solido sistema di controllo della congruità delle dichiarazioni dei redditi allegate alle domande e dell’attuazione rigorosa delle condizionalità (la partecipazione attiva alle misure sociali e l’accettazione delle nuove offerte di lavoro).
Il veicolo del Rdc, potenziato dall’introduzione temporanea del Reddito di emergenza, è stato utilizzato con una discreta efficacia per erogare i sostegni ai redditi delle famiglie meno abbienti nel corso della pandemia Covid-19. La riforma più recente, introdotta dal Governo in carica nel 2023 è stata varata con l’esplicito intento di contrastare gli abusi differenziando l’erogazione di un sostegno finanziario per le famiglie con minori, anziani, disabili e persone in cura (Adi), dall’indennità riservata alle persone in età di lavoro e condizionata alla partecipazione alle misure delle politiche attive del lavoro (Sfl).
L’avvio della riforma ha scontato, in positivo, la ripresa dell’occupazione e il potenziamento dell’Assegno unico per i minori a carico delle famiglie meno abbienti. In negativo ha pesato l’aumento dell’inflazione e il mancato adeguamento delle soglie Isee per partecipare alle nuove misure. Criticità che è stata rimediata con la Legge di bilancio che ha prodotto i suoi effetti nell’anno in corso.
Per prevenire i livelli di impoverimento della popolazione residente lo Stato ha destinato, negli ultimi 15 anni, ingenti volumi di spesa con risultati a dir poco fallimentari, e che abbiamo cercato di motivare in un recente articolo dedicato all’analisi della spesa assistenziale. In generale, i provvedimenti finalizzati a contrastare la povertà basati sull’espansione dei sussidi con modelli di erogazione centralizzati generano ricadute negative sui comportamenti dei contribuenti e dei percettori delle misure. Allo stesso tempo trascurano i fabbisogni di diversa natura che possono essere individuati solo con un’attenta valutazione delle condizioni dei nuclei familiari.
La crescita del tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro rimane la via primaria per rafforzare i redditi delle persone e delle famiglie. La sola che può consentire di mantenere in equilibrio il rapporto tra le persone attive con quello delle persone a carico destinato ad aumentare per le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione.
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