Negli anni il sistema che riconosce la pensione di vecchiaia è cambiato significativamente. Ma qual è stata la riforma "migliore" tra tutte?
Negli anni le regole sulla pensione di vecchiaia sono cambiate diverse volte. Dopo la pandemia ora si è tornati ad esempio all’adeguamento alle aspettative di vita, che secondo l’ISTAT tra 2 anni ci vorranno 3 mesi in più per uscire dal lavoro.
Bloccare l’età pensionabile a chiunque sarebbe una manovra eccessivamente costosa e impossibile da realizzare, motivo per cui il Governo potrebbe concederlo a “pochi eletti”, tra cui chi ha svolto lavori usuranti e gravosi.
I requisiti per la pensione di vecchiaia
Da circa vent’anni in Italia, i requisiti per ottenere la pensione di vecchiaia sono stati sempre più restrittivi, aumentando gradualmente le difficoltà per poterli maturare. L’ultimo Documento programmatico di bilancio (già nelle mani dell’UE), confermerebbe l’incremento delle 3 mensilità.
Anche se il nostro Bel Paese è stato investito da riforme previdenziali differenti, nell’ultimo periodo storico a prevalere è stato l’adeguamento proporzionato alla speranza di vita (sotto la responsabilità dell’ISTAT).

Dopo ben 33 anni le riforme pensionistiche che hanno rivoluzionato il sistema italiano sono state 4, la prima introdotta nel ’92 e nota come “Legge Amato“, a seguire la normativa Dini risalente all’anno 1995, mentre le penultima la Riforma Maroni (più recente e relativamente al 2004).
Oggi invece prevale la Fornero, che seppur qualcuno ha provato a cancellarla, di fatto la sua abrogazione è un evento impossibile.
Da retributivo a contributivo
I cambiamenti più importanti sul sistema del riconoscimento della pensione italiana hanno fatto riferimento al calcolo retributivo e contributivo. Il primo teneva in considerazione l’ultimo salario ricevuto, mentre l’altro i contributi pagati negli anni.
Sia la Riforma Amato che quella Maroni, prevedevano delle restrizioni importanti, che a loro volta penalizzavano gran parte dei contribuenti italiani.
La normativa che permetteva una flessibilità maggiore era la Dini, principale responsabile dell’introduzione del sistema basato sui contributi versati. Infatti inizialmente (nel ’95), era possibile uscire dal lavoro anche a 57 o a 65 anni.
I responsabili degli aumenti attuali
Dopo il sistema contributivo a dare una scossa “negativa” è stata la Riforma Maroni, che non venne mai introdotta ufficialmente proprio per la severità prevista dalla stessa: 35 anni di contributi, misure penalizzanti in caso di uscita anticipata e sistema a “quote”.
Fortunatamente qualche anno dopo, nel 2011, ad eliminare gli scaglioni è stata proprio la Fornero, con una soglia iniziale sull’età pensionabile “bassa”, 66 anni per tutti gli uomini e da 62 a 64 anni massimo per le donne.
Il motivo per la quale oggi sono state introdotte misure temporanee come Quota 100, Opzione Donna e l’Ape Sociale è legato alla crisi degli esodati, coloro che proprio per causa della Fornero restarono sia senza la pensione che senza un lavoro.
