Anche la pace fa vittime come la guerra. In questo caso, una eccellente. L'Europa già de-industrializzata dal Green Deal
Accidenti, scoppia la pace! E il comparto difesa langue. Anzi, sanguina come hanno dimostrato i veri e propri tonfi registrati nell’ultima seduta di contrattazione della scorsa settimana.
In tal senso, attenzione a ridere dell’apparentemente bizzarro appello di Kirill Dmitriev, inviato del Cremlino per gli investimenti strategici e capo del fondo sovrano russo RDIF, a Elon Musk, affinché finanzi il progetto di un ponte che unisca la Russia agli Usa via Alaska.
Certo, sulla carta e alla luce di quanto accaduto, l’ipotesi del “Putin-Trump tunnel” fa sorridere. Ma trattasi di provocazione troppo forte per essere derubricata unicamente come tale, quasi si trattasse di un coté per stemperare ulteriormente le tensioni. E con timing sospetto. Soprattutto in vista del vertice a Budapest tra i due leader. E all’apertura senza precedenti di Volodymir Zelensky alla trattativa diretta con il Cremlino, frutto di un incontro alla Casa Bianca che ha visto anche sparire dal tavolo l’opzione dei missili Tomahawk per Kiev.
Accidenti, scoppia la pace! Guardate la mappa. Ci mostra la cosiddetta Arctic route dalla Cina all’Europa.

Rispetto alla tratta via Suez, parliamo di 18 giorni di navigazione contro 30. Casualmente, guardate da dove passa. Dall’epicentro dell’allarme bellicista europeo verso la Russia. Il Baltico e la Scandinavia. Di fatto, i soggetti che Angela Merkel ha ammesso aver operato in maniera destabilizzante rispetto all’affaire ucraino. Casualmente, mai intervista di un ex Cancelliera tedesco fu più sottovalutata. E archiviata in fretta e furia.
Spartizione in vista? Tutto l’attivismo di Donald Trump sul fronte mediorientale, l’impegno quasi parossistico su Gaza stanno a rappresentare una scelta di campo per preservare la rotta più lunga ma, apparentemente, più sensibile a livello di ingerenza politica, stante una Cina che ha già colonizzato l’Africa e un reshoring strategico post-Covid lungi dall’essere completato? Se sì, come si mette per l’Europa? Anzi, cosa farà l’Europa?
Non tanto e non solo nei confronti del Dragone. Ma di fronte a una Yalta 2.0 come quella che prefigura questo scenario, occorre ricorrere alla logica dei conti della serva. Ovvero, se scoppia la pace, gli 800 miliardi di piano di riarmo che in realtà servivano come backstop per debiti e deficit fuori controllo tramite emissioni col badile di eurobonds, da dove salteranno fuori? E se scoppia la pace energetica e gli Usa mollano la leva sanzionatoria, quale futuro per un’Ue che ha colpito Mosca con 17 pacchetti di sanzioni e basato ogni suo breakeven energetico futuro su Lng statunitense, carissimo e a rischio di sbalzi d’umore della Casa Bianca? Accidenti, è scoppiata la pace!
E attenzione, perché anche la pace fa vittime come la guerra. In questo caso, una eccellente. L’Europa già de-industrializzata dal Green Deal che gli Usa si sono ben guardati di adottare. La Cina, nemmeno parliamone. E adesso, quella stessa Europa è persino a forte rischio di tenuta dei conti. E dell’euro che li denomina. O la scelta dell’odiata Budapest di Viktor Orban vi pare sia stata casuale?
Ma non basta. Perché uno scenario simile, apre a una visione controcorrente e potenzialmente contrarian anche a livello di fonti fossili. Petrolio in testa, il cui prezzo è ulteriormente calato su minimi ormai storici.

A detta di alcuni analisti, quota 55 dollari al barile rappresenta il low target per quest’anno, giustificato da un insieme di fattori che vedono sommarsi la scarsa domanda da rallentamento macro, le tensioni geopolitiche in calo fra tregua a Gaza e il potenziale dialogo Russia-Ucraina che potrebbe operare da volano su un ridimensionamento del regime sanzionatorio. Infine, la corsa all’aumento della produzione sposata in questi ultimi trimestri da un’Opec+ a guida saudita, la quale sembrava intenzionata ad aumentare aprioristicamente una produzione che, sulla carta, tutto necessitava tranne che output in crescita su domanda relativamente stagnante. Tutti fattori che giustificano appunto il livello attuale. Ma che, appunto, ora potrebbero tramutarsi in leve.
In primis, sottotraccia un nuovo elemento di tensione sarebbe emerso dalla dichiarazione a freddo del regime iraniano, il quale nella giornata di sabato scorso ha annunciato la fine dei vincoli da restrizione sul nucleare sanciti dei patti del 2015. Ronzio da B-52 in volo? Presto per dirlo. Ma certamente, l’area in cui andrebbe a inserirsi questa svolta unilaterale rispetto alla risoluzione Onu 2231 lascia presagire possibili tensioni sia con gli Usa, sia eventualmente con Israele dopo il primo scontro diretto dello scorso giugno.
In tal senso, una crisi potrebbe innescare un rimbalzo del prezzo. E, soprattutto, il recente ricorso dell’Arabia Saudita a un prestito bancario consorziato da 10 miliardi, quando notoriamente Ryad predilige in maniera sistemica il finanziamento per via obbligazionaria, lascia intende come il booster per un’eventuale inversione di tendenza potrebbe arrivare da Vienna, dove ha sede l’Opec e dove, dopo mesi e mesi di aumenti indiscriminati (e, forse, strategici quanto la molla di una fionda tirata per poi lanciare più forte e lontano), qualcuno potrebbe se non tagliare, quantomeno congelare gli aumenti di produzione già annunciati per i prossimi mesi.
In tal senso, questo grafico sembra suggerire un pattern simile a quello del rimbalzo durato due settimane sul finire del mese di febbraio 2021, quando il mercato fu colto con la guardia abbassata da un’impennata nei prezzi dovuta principalmente a una prezzatura delle manovre di stimolo messa in campo per contrastare i danni macro della pandemia.

A inizio di quell’anno, il barile viaggiava attorno ai 50 dollari. A fine ottobre era a 86 dollari. Una crescita complessiva di oltre il 25%. Out of the blue. Oggi, stante il trend di caduta a piombo verso area 55 dollari al barile e le condizioni strutturali del quadro geopolitico, l’effetto potrebbe essere simile. Se non addirittura amplificato.
Insomma, in attesa di capire se quella di oro e argento sarà vera gloria, l’oro nero potrebbe rivelarsi il classico canarino nella miniera. O, forse, addirittura un ulteriore cigno nero per l’Europa in vista dei mesi invernali.
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