L'accordo di massima tra Stati Uniti e Cina sancito da Trump e Xi Jinping penalizza l'Ue, che dovrà correre presto ai ripari
Questa notte si è tenuto l’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping, che è stato preceduto nei giorni scorsi da un’intesa di massima riguardante, tra le altre cose, dazi, terre rare, materie prime agricole, TikTok e Fentanyl. Secondo Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e Presidente del Centro studi EconomiaReale di Roma e dell’Istao di Ancona, «questo incontro dimostra la volontà di Trump di procedere con il suo bilateralismo in un mondo globalizzato. Io ritengo che sia una strategia sbagliata».
Perché?
Perché non è con un bilateralismo di questo tipo che si possono affrontare i problemi. Lo dimostra anche il fatto che Trump è partito minacciando dazi al 145% sulle merci cinesi, la Cina ha risposto limitando l’export di terre rare vitali per l’hi-tech degli Usa e a quel punto il Presidente americano ha dovuto cominciare a trattare con Pechino.
Se il bilateralismo è una strategia sbagliata, quale ritiene sia quella corretta?
Occorre un ordine internazionale mondiale, servono accordi multilaterali validi per tutti rimettendo al centro l’Organizzazione mondiale del commercio, che ha subito un duro colpo nel 2001 con l’ingresso della Cina, cui è stata però lasciata la possibilità di tenere la propria valuta fuori dalle regole del mercato.
Al di là di questo, cosa pensa dell’accordo tra Stati Uniti e Cina che è stato al centro dell’incontro tra Trump e Xi Jinping?
I contenuti dell’accordo non sono ancora noti nei dettagli, ci sono solo indiscrezioni. Si tratta in ogni caso di un accordo bilaterale che, come tale, produrrà anche effetti collaterali sul resto del mondo. Per esempio, negli ultimi mesi le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono scese più del 15%, mentre quelle verso l’Europa sono cresciute dell’8%. Tra l’altro, considerando l’aggancio del renminbi al dollaro, la valuta cinese si è svalutata rispetto all’euro.
Dunque l’accordo rischia di penalizzare l’Europa.

Gli effetti collaterali di questo accordo danneggeranno senz’altro l’Europa, che, con la svalutazione di dollaro e yuan, è come se fosse sottoposta a ulteriori dazi.
L’Europa cosa dovrebbe fare a questo punto?
L’Ue ha una priorità assoluta che ha poco a che vedere con la questione dazi. Deve cioè ricordarsi che lo squilibrio commerciale con gli Stati Uniti è principalmente dovuto agli eccessi di domanda americana e alla carenza di domanda europea. Occorre, quindi, smetterla di inseguire l’illusione dello sviluppo trainato solo dalle esportazioni e concentrarsi sull’importante mercato interno europeo.
È così importante il mercato interno europeo?
Basti pensare che l’export extra-Ue vale solamente il 12% del Pil europeo. Questo vuol dire che l’88% del Pil dipende dalla domanda interna, che andrebbe rilanciata con un piano concentrato sugli investimenti, non solo nella difesa e sicurezza, ma anche nell’energia, nell’innovazione tecnologica, nelle infrastrutture. Diversamente, come già accaduto agli inizi degli anni Duemila con gli smartphone, gli europei dovranno scegliere tra l’intelligenza artificiale americana e quella cinese perché non saranno in grado di svilupparne una propria.
Questi investimenti richiedono molte risorse…
Si dovrebbe quanto meno rendere strutturale il Next generation Eu triplicandone le risorse, che non andrebbero distribuite ai singoli Stati membri, ma utilizzate per creare un bilancio federale embrionale da utilizzare per progetti integrati europei, dietro ai quali ci devono essere ovviamente politiche industriali europee coerenti: sull’energia, sull’innovazione tecnologica, sulla difesa e la sicurezza e sulle infrastrutture.
Una strada diversa da quella che si sta perseguendo ora, cioè la ricerca di accordi commerciali con Paesi asiatici per trovare nuovi mercati di sbocco.
Per carità, questi accordi vanno bene, ma non illudiamoci che questi nuovi mercati possano sostituire quelli di Usa e Cina. E, soprattutto, occorre fare qualcosa per il mercato interno che, come detto, vale l’88% del Pil europeo. Tenendo conto dei vincoli di bilancio che devono rispettare, e che non fanno distinzioni tra spese e investimenti, non possono certo occuparsene gli Stati nazionali.
La Bce può avere un qualche ruolo per cercare di aiutare l’economia europea?
In un frangente in cui l’inflazione non sta salendo non può non tener conto che se la Fed taglia i tassi deve fare altrettanto per limitare la svalutazione del dollaro rispetto all’euro. Già vent’anni fa segnalai il fatto che l’Europa non poteva essere guidata da due soggetti ciechi da un occhio.
Ci può spiegare meglio cosa intendeva dire?
Intendevo dire che la Bce guarda solo all’inflazione, mentre l’Ue solo ai livelli di deficit e debito dei singoli Stati membri. Questa architettura rende di fatto le politiche monetaria e fiscale cieche da un occhio, perché non guardano all’andamento dell’economia e del mercato valutario. Così l’Europa non può andare molto lontano nel contesto globale.
Di fatto se oggi la Bce guardasse al cambio euro/dollaro per prendere le sue decisioni di politica monetaria farebbe qualcosa che non è compatibile con il suo statuto.
È vero, ma anche il Quantitative easing di Draghi non lo era e all’epoca qualcuno sollevò obiezioni. Oggi, però, tutti riconoscono all’ex Presidente della Bce di aver avuto il coraggio di fare qualcosa di buono e necessario.
(Lorenzo Torrisi)
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