In un clima di Mamdani-mania c'è da chiedersi se in una città come Milano un candidato simile riuscirebbe a diventare Sindaco
Perfino a Ferruccio De Bortoli Milano non piace più (anche se dice di continuare ad amarla). È diventata una città per ricchi o addirittura per super-ricchi, deplora il direttore emerito del Corriere della Sera.
Vi si sente l’eco potente dell’elezione shocking di Zohran Mamdani a sindaco della Città forse per eccellenza sul pianeta. Un plebiscito inatteso da parte dei newyorkesi che sempre più numerosi si sentono sotto sfratto a casa loro: in una metropoli diventata “unaffordable”, non più alla portata dei bilanci familiari.
Milano stessa – una delle Grandi Mele di scala europea – attraversa la stessa crisi e si accinge a scegliere un nuovo sindaco. Il voto è in calendario per la primavera 2027, ma la campagna è già cominciata. Alcuni candidati potenziali sono già finiti sui media (fra di essi tre giornalisti: l’ex direttore di Repubblica, Mario Calabresi, per il centrosinistra; quello in carica al Giornale, Alessandro Sallusti, per il centrodestra; lo stesso De Bortoli, leader ipotetico di una coalizione civica tutta da definire).
L’inchiesta della Procura di Milano sull’urbanistica ambrosiana – finita in stand by – sembrava capace di accelerare il voto municipale. Ma la scadenza delle Olimpiadi invernali ha contribuito a puntellare la giunta di Beppe Sala. Che però fra cento giorni sarà virtualmente uscente. E la campagna comincerà per davvero: prevedibilmente ancora in un clima globale di “Mamdani-mania”. Con tutte le implicazioni macro che hanno subito visto il nuovo Sindaco indossare i panni di un David dell’intero Occidente “democratico” contro il Golia della Casa Bianca, Donald Trump.

Milano ha bisogno di un Mamdani? E chi può esserlo?
A oggi sembra possibile solo quello che Albert Einstein chiamerebbe un “esperimento immaginario” (anche se qualche agenzia di sondaggi ci si potrebbe misurare sul campo).
Alle primarie (nelle file del centrosinistra) si presenta un 33enne cittadino italiano, immigrato dall’Uganda, dov’è nato da genitori indiani. Il padre, scienziato di buona fama, insegna alla Bocconi o al Politecnico. La madre è una stilista di successo. La famiglia è islamica moderata: compresa la moglie del candidato, graphic novelist emergente di origine siriana.
L’auto-candidato è già un politico professionale: è stato eletto in consiglio regionale della Lombardia, ma senza accendere su di sé i riflettori politico-mediatici. Comincia a girare per strade e social a dire che Milano è diventata una città invivibile (“per ricchi”, come ha chiosato De Bortoli). Propone una sorta di equo canone comunale – vincolante per i contratti d’affitto in città – e preme sulle grandi banche cittadine per mutui agevolati e finanziamenti a piani di social housing.
Promette di abbattere il ticket-base della metropolitana. Annuncia la costruzione di cinque mega-market a gestione comunale per calmierare i prezzi dei beni alimentari e di prima necessità (i primi a Quarto Oggiaro e Corvetto). Ventila una sovrattassa sui redditi più alti (se non un prelievo straordinario sui grandi patrimoni).
La sua candidatura è apertamente d’opposizione al Governo nazionale in carica.
Quanti milanesi lo voterebbero (quanti nella Grande Milano metropolitana)? Quante chance di vittoria avrebbe?
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