Nelle negoziazioni la componente emotiva è molto importante e può incidere più di valori oggettivi nel determinare la soddisfazione
Immaginiamo di essere agli sgoccioli di un percorso di selezione del personale. Al momento della negoziazione della retribuzione, il recruiter domanda quale sia la nostra RAL attuale. Dai colloqui precedenti abbiamo intuito che l’azienda in questione può offrirci ben più della nostra posizione di partenza, così decidiamo di rischiare il tutto e per tutto, presentando una cifra nettamente maggiore di quella reale.
Siamo consapevoli della scorrettezza del gesto, del fatto che l’azienda potrebbe ipotizzare la falsità dell’informazione (o persino decidere di verificarla), ma, nonostante ciò, decidiamo di tentare. L’obiettivo è chiaro: ottenere un aumento di stipendio significativamente superiore alle nostre possibilità. Il recruiter, dopo un’iniziale reazione di lieve stupore, si confronta internamente. Alla fine, il tentativo si rivela vincente e la proposta viene accettata.
Da un punto di vista oggettivo, possiamo valutare l’esito di questa negoziazione in maniera senza dubbio positiva. Ma come ci sentiremo al termine della trattativa? E come si sentirà la controparte? La consapevolezza di aver agito in maniera non trasparente potrà influire negativamente nella relazione professionale che stiamo intraprendendo con l’azienda?
Questo aneddoto rappresenta un punto di partenza per riflettere su una differenza molto interessante da considerare all’interno delle negoziazioni: quella tra valore oggettivo e valore soggettivo. Se il primo è legato all’esito concreto dell’accordo, il secondo riguarda come le persone si sentono al termine della negoziazione. Va dunque oltre l’aspetto puramente contrattuale ed economico, abbracciando una sfera molto più profonda e personale.

Se il valore oggettivo dà soddisfazione soprattutto nell’immediato, è il valore soggettivo ad avere un impatto decisivo nel pungo periodo. Un’evidenza che ha avuto conferma da un esperimento realizzato dal MIT. La ricerca si è svolta nelle seguenti modalità: sono state studiate negoziazioni reali tra neolaureati e possibili datori di lavoro analizzando sia il valore oggettivo (ossia la retribuzione e altre condizioni economiche), sia quello oggettivo (ovvero lo stato emotivo delle persone alla fine della trattativa).
Dopo un anno sono stati misurati nei neoassunti tre valori: la soddisfazione retributiva, la soddisfazione lavorativa e l’intenzione di cambiare lavoro. Il risultato ha parlato chiaro: il valore soggettivo rilevato post colloquio era correlato significativamente a questi tre fattori. Ciò significa che l’elevata soddisfazione successiva alla trattativa aveva portato a un maggior benessere in termini retributivi e lavorativi e a una minore intenzione di lasciare l’azienda. Il valore soggettivo può dunque continuare a influire sul livello di appagamento anche a distanza di un anno.
Al contrario, con sorpresa, non è stata rilevata alcuna correlazione tra i tre fattori misurati e il valore oggettivo. Da questa panoramica potremmo dedurre che l’esperienza del colloquio ha inciso di più rispetto alla retribuzione concordata.
La ricerca del MIT dimostra con dati concreti un principio fondamentale: la componente emotiva è centrale nelle negoziazioni. Coltivare una relazione di lungo periodo con la controparte non è rilevante solo sul piano etico, ma ha anche un fine utilitaristico. Puntare a una soluzione che valorizzi gli interessi di entrambi crea una soddisfazione reciproca che aumenta il valore soggettivo, e dunque la possibilità di generare accordi futuri.
Al tempo stesso, attuare un approccio più manipolatorio – volto cioè a ottenere risultati vantaggiosi solo per sé stessi – non solo mette a rischio la reputazione, ma può anche influire sulla nostra soddisfazione personale.
Paradossalmente, affinché la controparte desideri negoziare nuovamente con noi non occorre focalizzarsi sull’aspetto puramente economico, magari fornendo qualche concessione in più rispetto a quanto preventivato. Al contrario, la chiave consiste nel fare in modo che la persona termini l’incontro con la sensazione di aver vissuto un’esperienza positiva.
La Negoziazione Strategica, descritta nell’omonimo libro di Luca Brambilla, si fonda proprio su questa consapevolezza. L’intento è gestire l’intero processo negoziale avendo a cuore non solo i propri interessi, ma anche quelli dell’altro e il contesto, con l’obiettivo di creare un’alleanza capace di generare valore nel tempo.
Perché non siamo freddi calcolatori capaci di analizzare i dati con estrema oggettività. Siamo esseri umani dotati di emozioni.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
