Il Financial Times, dopo aver ospitato la parole di Cavo Dragone, ha fatto sapere che la Bce non vuol garantire il prestito Ue all'Ucraina
Poche ore dopo aver fatto da megafono al generale Giuseppe Cavo Dragone – e alle sue suggestioni di guerra preventiva Nato contro la Russia – il Financial Times ha aperto la sua home con uno scoop: “La Bce rifiuta di offrire garanzie sugli asset russi”. Francoforte, dunque, si nega come sponda tecnico-finanziaria fondamentale perché l’Ue metta mano ai patrimoni russi attualmente sotto sequestro (FT li quantifica in 140 miliardi di euro).
Quei mezzi sono da mesi al centro di una contesa a porte semichiuse a Bruxelles e nelle capitali Ue, nonché sui media (soprattutto fuori Europa). Da un lato vi sono Paesi e ambienti che premono per girare quelle molte decine miliardi russi all’Ucraina sotto forma di “prestito” Ue. Il fine concreto sarebbe chiaramente quello di rifinanziare la guerra fra Kiev e Mosca, anzi: la sua continuazione a medio-lungo termine.
Il contrario, dunque, del cessate il fuoco perseguito in queste ore di trattative febbrili da Usa e Russia, con l’Ucraina al tavolo. E se il fronte bellicista agita da sempre in modo ambiguo la necessità di “garantire la sicurezza” dell’Ucraina dopo un eventuale cessate il fuoco, la capitale dei guerrafondai è oggi certamente Londra.
La City – la “Compagnia delle Indie” di cui FT è storica gazzetta – è in crisi non meno dello Stato britannico. La sua centralità nella globalizzazione finanziaria – partorita quarant’anni fa dal Big Bang al London Stock Exchange – è in progressivo declino: dopo essersi alimentata nel dopo-Muro anche di ingenti flussi finanziari russi. Ultimamente la City ha poi sofferto molto l’impatto di Brexit, che ha colpito l’intero Regno Unito sul piano economico e geopolitico.
Non a caso è stato il Governo laburista di Keir Starmer a inaugurare a Londra l’iniziativa dei Volenterosi: assieme alla Francia di Emmanuel Macron, altro bellicista per necessità a capo di un sistema-Paese inesorabilmente ridimensionato da un lungo dopoguerra post-coloniale.
I Volenterosi continuano a essere tali anzitutto nel promuovere il prosieguo di una confrontation semi-calda con la Russia. Entrambi i sistemi-Paese – gli unici in Europa a essere dotati di armamenti nucleari – ospitano importanti “complessi militar-industriali” degni nella loro fisionomia di quello statunitense (e il Pentagono è stato motore del bellicismo di Joe Biden in Ucraina e a Gaza e oggi soffre anche per questo l’Amministrazione Trump, allergica già nel primo mandato al bellicismo come strategia geopolitica). Ancora: sia Francia che Gran Bretagna vorrebbero rimischiare le carte dell’Unione europea post-Brexit: inevitabilmente dominata dalla Germania.
La Gran Bretagna in particolare – tuttora forte di una comunità d’intelligence erede di quella imperiale – è già da quattro anni attiva sul teatro ucraino (come lo è stata a lungo, in questo secolo, su quello iracheno e afghano). Per la Gran Bretagna la guerra è un business importante: esattamente come è mission costitutiva della Nato, di cui il generale Cavo Dragone è oggi presidente del Comitato militare.

L’ammiraglio italiano ha compiuto il primo passo decisivo del suo cursus nazionale con la nomina a capi di Stato maggiore della Marina, avvenuta nel giugno 2019: da parte del Governo Conte-1 (ministro della Difesa la grillina Elisabetta Trenta) già in odore di ribaltone pilotato dall’Europa, pochi giorni prima dell’assalto navale della “capitana Carola” a Lampedusa. La chiamata di Cavo Dragone al più alto incarico militare italiano (capo di Stato maggiore della Difesa) data invece nel novembre 2021, Premier Mario Draghi e ministro il dem Lorenzo Guerini. Due settimane dopo il presidente Sergio Mattarella (attentissimo Capo delle Forze Armate e del Consiglio supremo di difesa) firmava con Draghi un “trattato d’amicizia” con Macron.
Se i budget militari e il peso politico dei generali sono direttamente proporzionali alla temperatura bellica del pianeta, guerra permanente e riarmo appaiono imperativi categorici per una vasta lobby di politici, militari, diplomatici e businessmen (fra cui gli oligarchi ucraini alle cronache in questi giorni per il misuso degli aiuti finanziari europei). E a fine 2025 l’unica ipotesi di lavoro concreta appare il “prelievo” dei fondi russi sequestrati e il loro “prestito-donazione” a Volodymyr Zelensky.
Il Presidente ucraino – pericolante dopo lo scoppio della Tangentopoli di Kiev – giusto lunedì è volato di nuovo a Parigi, dopo aver firmato due settimane prima un accordo-quadro per l’acquisto di 100 caccia Rafale di fabbricazione francese (rapido asterisco per intenditori e patiti: proprio in questi giorni 6mila aerei civili Airbus, assemblati in Francia, sono stati costretti a terra per la scoperta improvvisa di una vulnerabilità informatica “alle radiazioni”, solari).
La Banca centrale dell’euro (da cui Londra ha tenuto fuori la sterlina anche prima di sbattere la porta dell’Ue) avrebbe comunque opposto un gran rifiuto a favorire l’operazione. Il tono di FT è stato ovviamente quello della denuncia scandalizzata, strumentale alla chiamata di una pronta smentita da parte della Bce: da cui però sono giunti ieri segnali di conferma. La narrazione implicita e preventiva di FT è comunque già servita: i banchieri del Continente avrebbero deciso di indossare i panni conniventi dei capi di governo che nel 1938 a Monaco si piegarono a Hitler (c’era anche il Premier britannico, tutti sanno comunque com’è andata a finire).
La prova che da allora i grandi Paesi Ue sono cambiati – e hanno imparato la lezione di Winston Churchill, l’ultimo Premier dello Splendido Isolamento imperialista britannico – sarebbe invece il “coraggio” di togliere con destrezza dal tavolo del cessate il fuoco 140 miliardi russi. Casa Bianca e Cremlino vorrebbero invece destinarli a un piano di ricostruzione congiunta dell’Ucraina sui due lati di una futura linea di cessate il fuoco.
FT tifa invece per un passo che saboterebbe in modo forse definitivo uno scenario di fine delle ostilità in Ucraina: che è poi l’accusa indirizzata ieri sera da Vladimir Putin verso l’euro-Nato, accusa in parte fatta propria da Donald Trump. Si stabilizzerebbe cosi uno scenario di “guerra infinita”: fra Europa e Russia (esattamente a mezza strada fra Usa e Cina, lontani entrambi 7mila chilometri). Ma è quanto prospettato quasi apertis verbis anche da Cavo Dragone (e un sostegno fermo al Kiev contro la Russia è stato ribadito recentemente anche dal Consiglio supremo di difesa presieduto da Mattarella, con l’ex deputati dem Francesco Saverio Garofani come segretario).
Nel frattempo sarà interessante avere qualche dettaglio in più su chi e come – all’Eurotower – “ha concluso che sarebbe oltre il mandato statutario della Bce” agire da garante a un prestito all’Ucraina dei capitali russi custoditi sotto sequestro presso Euroclear, in Belgio. E su questo i segnali di ieri sono stati vaghi, in parte volutamente.
A “concludere” ogni valutazione, al verticeBce, non può che essere il Comitato esecutivo presieduto da Christine Lagarde (ex ministro delle Finanze in Francia, ex Direttore generale del Fmi a Washington). Gli altri cinque membri sono: il Vicepresidente Luis de Guindos (ex ministro dell’Economia in Spagna); Giuseppe Cipollone (ex vicegovernatore della Banca d’Italia); Frank Elderson (tecnocrate olandese, già vicepresidente del Consiglio di Supervisione bancaria presso la stessa Bce); Philip Lane (ex Governatore della Bank of Ireland) e Isabel Schnabel (ex capo dei consiglieri economici del Cancelliere tedesco Angela Merkel).
Quale memorandum è arrivato sul loro tavolo dagli uffici Bce? E i sei – dopo averlo discusso – lo hanno votato? A quanto riferisce FT hanno detto “no” almeno in maggioranza, se non all’unanimità. O c’è stato qualcuno che ha votato sì oppure si è astenuto? E quanto fiato al collo – politico – è giunto loro dalla Commissione Ue o da singoli Premier (che al dossier russo hanno sempre fatto mancare il via libera del Consiglio dei 27 Capi di Stato e di governo)? E come si è mossa Lagarde: ex ministro gollista, issata al vertice Bce da Macron e sempre vociferata come possibile candidata “di unità nazionale anti-lepenista” per la successione all’Eliseo?
Su tutti questi interrogativi il commento informale dell’Eurotower è stato stringato e guardingo: il “rifiuto” (di intervenire su un terreno squisitamente e crucialmente geopolitico) va meglio qualificato come “diniego” (tecnico-legale) a non assumere iniziative di dubbia conformità ai “Trattati Ue”.
Nei fatti, i Banchieri di Francoforte sembrano essersi ben guardati – comprensibilmente – dall’offrire il minimo appoggio ai Generali di Bruxelles (lato Nato). Anche perché non è competenza dei Banchieri togliere le castagne dal fuoco a Presidenti e Premier. I quali – nelle loro cancellerie e a Bruxelles – continuano a non mostrare alcuna fretta di “prendere a prestito” decine di miliardi di euro di proprietà del Cremlino e degli oligarchi russi, che stanno negoziando con l’America di Trump il cessate il fuoco in Ucraina.
Per comprare armi (non è chiaro prodotte da chi e comunque destinate all’establishment ucraino) indebitando cinquecento milioni di europei con la loro banca centrale. Aggiungendo nuova inflazione potenziale a quella che ha già colpito l’Ue in quattro anni di sanzioni. E invalidando i Trattati di Maastricht – scolpiti nella pietra dal 1991 – più di quanto stiano già provando a fare Usa, Russia e Cina. Ma a fare bingo naturalmente sarebbe anche la City di Londra.
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