Il film "Giuseppe Taliercio - Il delitto perduto" è dedicato al dirigente ucciso dalle Brigate Rosse nel 1981 dopo più di 40 di prigionia
Giuseppe Taliercio – Il delitto perduto è un film diretto da Mario Chiavalin che racconta il sequestro e l’assassinio del dirigente del Petrolchimico Montedison di Marghera Giuseppe Taliercio, avvenuto tra il maggio e il luglio del 1981 a opera delle Brigate Rosse. Mario Travaglin mostra il dramma di Taliercio legando il fatto drammatico del processo alla storia personale del dirigente Montedison, intrecciando in modo riuscito il presente con il passato.
Taliercio è interpretato da Michele Franco e la moglie Gabriella Magnani da Manuela Metri, mentre Lorenzo Antolini interpreta Antonio Savasta, capo dei brigatisti, tra i quali Pietro Vanzi, che ha il volto di Lorenzo Casti.
Il film fa vedere com’è avvenuto il rapimento con due brigatisti travestiti da finanzieri che entrano in casa di Taliercio e fingono di dover fare dei controlli, ma la realtà si svela subito: il dirigente della Montedison viene immobilizzato assieme ai membri della famiglia, poi viene messo in una grossa cassa e trasportato con un mini van nel luogo dove per 46 giorni rimarrà prigioniero e condannato a morte dal tribunale delle BR verrà ucciso da Savasta.
Chiavalin mostra la disumanità della detenzione e la fredda crudeltà di Savasta quando uccide Taliercio, intersecando il racconto di quei tragici 46 giorni con scene della vita del dirigente Montedison, soprattutto legate al rapporto che aveva con moglie e figli.
Così in questo racconto ciò che si evidenzia è l’umanità di Taliercio e la disumanità degli uomini delle Brigate Rosse.

Il film documenta l’ideologia degli uomini delle Brigate Rosse e il loro progetto fallimentare di portare gli operai dalla loro parte e quindi di iniziare il processo rivoluzionario. Tutti gli uomini delle Brigate Rosse nel film appaiono per quello che sono: hanno perso la loro identità per servire un progetto ideologico che non aveva nessun rapporto con la realtà, tanto che avevano catturato un innocente e lo avevano pregiudizialmente condannato a morte.
Chiavalin fa vedere come anche i rapporti tra i brigatisti siano disumani, nessuno può esprimere la propria idea, bisogna ciecamente obbedire a Savasta loro leader e membro della Direzione delle BR.
Giuseppe Taliercio è invece la testimonianza dell’umano, un uomo di fede, che vive amando la sua famiglia e che aveva esercitato il suo ruolo di dirigente con grande attenzione agli operai. Taliercio è un uomo innocente, un uomo che non aveva voluto la scorta perché non poteva sopportare che qualcuno morisse al suo posto, un uomo che sapeva di essere in pericolo, ma non si era sottratto alla contraddizione della sua storia: affronta a testa alta la prigionia e vuole alla fine vedere in faccia chi lo ucciderà per sapere chi dovrà perdonare.
Questo film gli rende giustamente memoria, l’ingegner Taliercio è stato un testimone eccezionale, quel Dio che a Savasta pare una giustificazione senza senso delle sue colpe è invece una presenza che non lo abbandona mai e lo fa guardare al dramma che deve attraversare come al compimento della sua vicenda umana: Taliercio è certo che la giustizia non è quella delle BR, ma del Dio buono che lui prega come Chiavalin mostra soffermandosi con scene commoventi sulle sue preghiere.
Così Taliercio risulta il vero vincente, è la sua umanità che sempre aveva messo in campo facendo il dirigente della Montedison a sconfiggere chi lo crivellerà di colpi, tanto è vero che poi Savasta diventerà un “pentito”.
Oggi questo film è molto importante, Taliercio era stato di fatto dimenticato, pochi lo conoscevano, uomo buono, giusto e di fede merita questa memoria e soprattutto può essere visto da tutti come un testimone di un’unità di vita in ogni situazione, anche in quelle terribili come i 46 giorni vissuti da prigioniero nel covo delle BR a Casarsa del Friuli.
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