Il coraggio e la speranza di Benedetto XVI

Quelle del Papa sono ancora una volta le parole più coraggiose, ma anche le più incisive, le uniche parole di vera speranza

Il 20 Novembre scorso il Parlamento europeo sollecitava, attraverso una risoluzione comune, le autorità somale e keniote a effettuare ogni possibile sforzo e ad adottare ogni possibile iniziativa politica e diplomatica per garantire la liberazione di Maria Teresa Olivero e Caterina Giraudo, le due suore italiane rapite il 9 novembre nella località di El Wak, al confine tra il Kenya e la Somalia.

 

La Risoluzione chiedeva all’Unione Europea di lavorare senza sosta per contribuire a creare un vero sistema democratico in Somalia e per aiutare il Governo somalo nel controllo dell’intero Paese e per instaurare lo stato di diritto in un modo, compatibile con i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani, che possa impedire il ripetersi di altri simili episodi.

Esortava vivamente la missione dell’Unione africana in Somalia (AMISOM) ad avvalersi pienamente del suo mandato per proteggere la popolazione civile, con particolare attenzione alle donne e bambini, e chiedeva di essere incaricato di monitorare, indagare e riferire in merito a violazioni dei diritti umani. Sosteneva fermamente l’accordo di Nairobi tra il governo della Somalia e l’Alleanza per la nuova liberazione della Somalia, con sede a Gibuti (ARS-D), volto a porre fine ad anni di ostilità in Somalia e a creare una soluzione duratura per ripristinare la pace.

È passato più di un mese e l’instabilità politica nel Paese del Corno d’Africa non conosce sosta, infatti è di pochi giorni fa la notizia delle dimissioni del primo ministro Mohamed Mohamud Guled, nominato da appena una settimana dal presidente Abdullahi Yusuf. La presidenza francese dell’Ue ha espresso immediatamente la propria preoccupazione.

Le due suore intanto rimangono nelle mani dei rapitori ed è incredibile come, invece di intensificarsi gli sforzi per la loro liberazione, si assiste al silenzio preoccupante e vergognoso dei vertici statali e della comunità internazionale. «Se ciascuno pensa solo ai propri interessi, il mondo non può che andare in rovina». Nel giorno di Santo Stefano, che fu il primo martire cristiano, Benedetto XVI ha voluto ammonire i politici di tutto il mondo affinché la cooperazione e la solidarietà tra istituzioni nazionali e internazionali diventi il metodo di lavoro in ogni ambito della vita politica. Il Pontefice ha chiesto che la luce del Natale brilli e «incoraggi tutti a fare la propria parte, in spirito di autentica solidarietà», nei luoghi più disperati del pianeta, in particolare «dove la dignità e i diritti della persona umana sono conculcati; dove gli egoismi personali o di gruppo prevalgono sul bene comune».

Allo stesso modo, ha chiesto di portare la luce del Natale «dove si rischia di assuefarsi all’odio fratricida e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; dove lotte intestine dividono gruppi ed etnie e lacerano la convivenza; dove il terrorismo continua a colpire; dove manca il necessario per sopravvivere; dove si guarda con apprensione ad un futuro che sta diventando sempre più incerto, anche nelle Nazioni del benessere».

Lo sguardo più intenso del pontefice è rivolto al continente africano. Il Papa ha mandato un messaggio per «gli abitanti dello Zimbabwe», da troppo tempo nella «morsa di una crisi economica e sociale» che si aggrava. Per Congo, Darfur e Somalia. E nonostante il silenzio stampa che era stato chiesto qualche giorno fa, Benedetto XVI ha espresso la volontà che le due suore «sentissero la solidarietà del Papa e di tutta la Chiesa». È importante continuare a ricordarsi di loro e non smettere di chiedere la loro liberazione.

Quelle del Papa sono ancora una volta le parole più coraggiose, ma anche le più incisive, le uniche parole di vera speranza. Sono parole di speranza per i familiari delle suore e per i confratelli del Movimento di Focault, che il 23 dicembre hanno lanciato il loro appello ai rapitori, nel quale chiedono «che queste due sorelle tornino in libertà a curare i vostri malati, ad accogliere i vostri bambini che soffrono, gli anziani che hanno bisogno di medicine. Voi lo potete constatare anche in questi giorni: sorella Rinuccia e sorella Maria Teresa sono donne di Dio che stimano e amano il vostro popolo. In questi 25 anni a Elwak sono diventate grandi amiche di tante mamme della vostra gente, nel massimo rispetto della vostra fede».

Ma quelle del Papa sono le uniche parole di speranza anche per tutti noi, che diventiamo pazzi nella ricerca di un equilibrio che spesso corrisponde all’utopia. La dittatura laicista di oggi impone a tutti i livelli istituzionali un accantonamento di qualsiasi riferimento alla dottrina della Chiesa e a Dio. Quest’ultimo discorso del Papa evidenzia ancora una volta come la potenza del messaggio cristiano debba essere considerata a tutti gli effetti il punto di riferimento per affrontare le dispute e le crisi internazionali tra Stati e all’interno degli Stati.

Non c’è nessuna dottrina nelle relazioni internazionali che riesca ad entrare nel cuore dei problemi con una tale efficacia e dirompenza. È la dirompenza della dignità umana come fattore fondante le relazioni tra uomini e tra Stati. Perché il fondamento dei diritti umani è la dignità della persona umana. Se la comunità internazionale continuerà a preferire a questa concezione il concetto di “supermarket dei diritti” l’instabilità internazionale avrà nel mondo occidentale un alleato piuttosto che un avversario.

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