Una speranza viva nel cuore dei bambini soldato

I bambini soldato non chiedono altro che smettere di essere degli ex, dei sopravvissuti. Una mostra AVSI, presentata al Palmento europeo, racconta le storie di rinascita di alcuni di questi bambini

Un bambino che era un soldato è un sopravvissuto, uno scampato. Vive in un mondo di incubi, di sogni brutti e ricorrenti; sogni che specchiano ricordi di fatti reali. Sterpaglie, polvere, sangue, urla, paura, crudeltà. Ne ho incontrati di questi ragazzi non più bambini e non più soldati. Parlano con difficoltà, hanno la mente oppressa, fanno discorsi intermittenti, pieni di lacune. Uno mi ha raccontato che dopo la cattura gli hanno fatto sorteggiare il tipo di tortura cui “doveva” essere sottoposto: bastonato con un ramo di legno, oppure con una catena, oppure con un pezzo di ferro. Le opzioni raffinate dei suoi “educatori”. Rito di iniziazione alla vita nella guerriglia, in cui non si può far altro che obbedire a qualunque tipo di ordine e uccidere qualunque tipo di persona vivente. Un altro mi ha detto che il primo atto di sottomissione consisteva nel morsicare un altro rapito che aveva cercato di fuggire; morsicare a sangue, fino a farlo svenire e anche peggio.

Le storie dei bambini soldato sono le più atroci che si possano immaginare. Bambine legate agli alberi e lasciate in pasto agli animali; piedi amputati per impedire la fuga; volti sfregiati; corpi torturati dagli stupri di gruppo… Il capo ordina di uccidere la sorella, il padre, o di seppellire vivi i prigionieri o di accoppiarsi con il suo vice. Può la fantasia malata degli adulti arrivare a tanto? Sì. Può rompere qualsiasi argine, può infrangere qualsiasi regola. Un abisso senza fine. Letteralmente. Nelle ultime scene di Apocalypse Now, tratto dal Cuore di tenebra di Conrad, Kurz-Marlon Brando invoca l’Orrore. Ne è attratto e atterrito insieme. Guarda lo spettatore, guarda il capitano-Martin Sheen che lo sta per uccidere, ma è dentro di sé che vede l’Orrore, la voragine che lo inghiotte. I bambini soldato ci sono stati dentro, sanno che cosa significa, hanno vissuto tutto, hanno visto i tanti Kurz-Brando giocare con il Male e restarne giocati.

C’è un dopo per i bambini che sono stati soldato? Un dopo che sia una vita e non un passato che non passa, un risveglio dopo l’incubo, una innocenza dopo l’Orrore? Una sera dopo cena un padre comboniano, da molti anni in Africa, ha aperto il portafoglio. Fateci caso, i portafogli e le agendine dei vecchi missionari sono come le borse di Mary Poppins, c’è dentro di tutto. Tra biglietti da visita, patenti stracciate, banconote indecifrabili, angoli di quaderno riempiti di numeri di telefono, briciole e bottoni, ha estratto una foglio piegato accuratamente in otto parti. Una lettera -poche incerte righe- macchiata di sangue. Gli era arrivata miracolosamente dalla boscaglia, un ragazzino del suo villaggio lo supplicava di aiutarlo. Lo avevano rapito, gli avevano tagliato un orecchio, voleva tornare a casa, aveva sempre, sempre, paura. Il padre comboniano si era messo a cercarlo e alla fine lo aveva trovato e salvato. Restituito alla vita. Era passato parecchio tempo, ma teneva quel foglietto per non dimenticarsi mai del dolore e della speranza, del prima e del dopo.

I bambini soldato non chiedono altro che smettere di essere degli ex, dei sopravvissuti. Vogliono tornare a casa davvero. Non è facile e non tutti ci riescono. Occorre che qualcuno apra loro la porta, qualcuno che si impegni con loro, che sia paziente e dolce, che sappia ascoltare anche quando restano muti, che sappia parlare anche quando restano sordi, che si svegli con loro nel cuore della notte, che gli passi le matite quando vogliono disegnare. Se c’è quel qualcuno, molte cose possono ancora accadere nella vita di un bambino non più soldato.

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