Quale futuro per i Balcani?

Oggi la realtà di questa regione è quello che è, e dunque occorre impedire eventuali derive fondamentaliste così come l'ulteriore sgretolamento in mini-stati e soprattutto dare prospettiva a una maggiore stabilità

È passato un anno dall’ultima “creazione” di uno stato indipendente: il Kossovo venne sospinto all’esistenza dalla fortissima pressione degli Stati Uniti, seguita dal (frettoloso) riconoscimento di alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia.

 

In realtà l’estate scorsa la guerra lampo russo-georgiana ci ha portato in dono altri due neonati strategici: l’Ossezia e l’Abkhazia, che però sono stati riconosciuti soltanto da Mosca, che li ha voluti sfidando regole e buon senso mondiale, e dal Nicaragua, chissà perché.

Il Kossovo vanta ben altro pedigree e ben altre legittimità, eppure finora solo 54 su 192 Paesi membri dell’Onu lo hanno riconosciuto. E c’è un altro dato grave, visto che cinque Paesi europei (Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia) appartengono al “fronte del rifiuto”.

Costoro fanno valere le questioni interne, con le rivendicazioni indipendentistiche di gruppi etnici e nazionalistici, come anche ragioni di solidarietà culturale-religiosa con la Serbia e valutazioni geopolitiche radicalmente diverse da quelle tanto sbandierate all’epoca dall’amministrazione Bush, basate sulle legittime aspirazioni della maggioranza albanese del Kossovo e sulla necessità di dare finalmente stabilità all’intera regione.

A bene vedere la situazione dei Balcani resta piuttosto inquieta e inquietante. Ad esempio pochi credono al futuro della repubblica federata della Bosnia, un’altra strana creatura immaginata per porre una qualunque fine alla guerra, basata su un fragilissimo equilibrio tra ortodossi, cattolici e musulmani – dove nessuna componente si sente “bosniaca”; e molti sottovalutano il malessere della Serbia, che si è sentita eccessivamente punita per le obbiettive e indiscutibili colpe avute nelle guerre degli anni ’90.

Gli umori di un Paese che si sente bersaglio sono difficili da mettere sotto controllo, come testimonia la storia europea tra le due guerre mondiali. Inoltre, non si sottolinea abbastanza come l’indipendenza del Kossovo (e la salvagurdia della minoranza ortodossa) nonché l’assetto della Bosnia siano garantiti dai soldati e dai soldi europei: quanto potrà durare?

Ma quando si incontrano interlocutori e osservatori dei Balcani, emerge un altro fattore: Albania, Kossovo, Montenegro e Macedonia (che ancora non ha risolto la disputa del nome con la Grecia), oltre che la Bosnia, sono nazioni a maggioranza musulmana, confinanti tra loro.

Un semplice sguardo alla cartina suscita pensieri e interrogativi. Il primo: mentre Bosnia e Macedonia era già “repubbliche” jugoslave e dunque il loro distacco poteva essere considerato naturale, era così indispensabile incoraggiare e sostenere l’indipendenza di Montenegro e Kossovo? Non si poteva tenere maggiormente conto delle preoccupazioni della Grecia e di Cipro, mutilata di un terzo del suo territorio dall’occupazione dell’esercito turco in spregio a ogni regola?

In certi ambienti politici mediatici e diplomatici occidentali si fanno spallucce: in fondo le tradizioni islamiche prevalenti in queste regioni sono di quelle che noi europei definiamo “moderate”, perciò è sbagliato preoccuparsi, occorre essere ottimisti. E così, per non essere accusati di gratuito pessimismo, coloro che chiedono maggiore attenzione alla complessità delle cose devono tacere che da anni in Kossovo si registrano le attività “missionarie” di imam spediti da Arabia Saudita e dal Medio Oriente e qualcosa di simile accade in Macedonia.

Chi conosce il mondo islamico arabo sa bene che per quella mentalità il tempo non è mai un problema: se non vinco io, vincerà mio figlio o il figlio di mio figlio (una filosofia di vita alla base di Hamas). Ma la partita ottimisti-pessimisti è un gioco stupido e insensato, che fa perdere i contorni del reale, così come si perde il conto degli Stati e dei litigi balcanici.

Oggi la realtà di questa regione è quello che è, e dunque occorre impedire eventuali derive fondamentaliste così come l’ulteriore sgretolamento in mini-stati e soprattutto dare prospettiva a una maggiore stabilità.

Può sembrare paradossale, ma ci vuole ancora più Europa, nel senso dei soldi, dei soldati e della giusta combinazione di pretese e di controlli circa gli assetti democratici e istituzionali. Prima o poi anche i cinque no europei al Kossovo diventeranno sì e l’occasione potrà essere giocata al rialzo, per una maggiore capacità strategica. E poi ci vuole più Chiesa cattolica e più Chiesa ortodossa, i veri fattori di equilibrio troppo spesso e troppo a lungo messi ai margini.

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