Come pagare meno tasse

La riforma delle riforme, quella del federalismo fiscale, potrà anche contribuire a ridisegnare in termini moderni il vecchio e odioso fisco, con risparmi sulle tasse

Nei prossimi mesi si svilupperanno i lavori diretti ad attuare la legge delega sul federalismo fiscale, si tratterà di lavori molto serrati che coinvolgeranno i diversi gruppi di lavoro (nel complesso una cinquantina di tecnici) all’interno della Commissione tecnica paritetica che si è insediata a settembre di quest’anno.


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A dicembre dello scorso anno è stato emanato il primo decreto attuativo, quello sul federalismo demaniale e ora i lavori dovranno svilupparsi sulle coordinate fondamentali dell’impianto fiscale: il calcolo dei costi standard e il nuovo assetto della fiscalità regionale e locale.

Entro giugno di quest’anno, infatti, il Governo dovrà presentare al Parlamento una relazione avente a oggetto il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e le ipotesi di distribuzioni delle risorse (art.2, comma 6, della legge n. 42 del 2009). Si tratta di un lavoro imponente che prefigurerà i possibili scenari del nuovo federalismo fiscale, per giungere entro la scadenza della legge delega (maggio 2011) ad approvare tutti i decreti legislativi che disegnano il nuovo impianto.


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È quindi utile incominciare a fare un po’ di chiarezza su questo argomento, ribadendo i motivi che portano a definire il federalismo fiscale come la “riforma delle riforme” e chiarendo che essa potrà viaggiare parallelamente alla riforma del sistema fiscale nazionale.

Il sistema fiscale italiano è stato, infatti, disegnato all’inizio degli anni Settanta e si è basato su una forte centralizzazione del prelievo – veniva abolito il previgente municipalismo fiscale – imposta come contraltare dell’avvio delle Regioni ordinarie, rimaste congelate per vent’anni nonostante la Costituzione ne prevedesse l’istituzione a partire già dal 1949. La riforma fiscale degli anni Settanta nacque già vecchia e il sistema a livello nazionale fu continuamente rattoppato, mentre a livello regionale e locale si sviluppò sul perverso parametro della spesa storica, che premia l’inefficienza e punisce i comportamenti virtuosi.


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Il tutto è stato drammaticamente aggravato dall’avvio del cantiere federalista, che è partito a metà, muovendosi velocemente sul fronte delle competenze amministrative (riforma Bassanini del 1997) e delle funzioni legislative (riforma costituzionale del 2001), ma rimanendo sostanzialmente fermo su quello della finanza autonoma. L’esito attuale è che il potere di spesa per circa la metà è stato decentrato, ma il potere impositivo no.

 

Il sistema è rimasto fondato sulla finanza derivata. Le entrate proprie di Regioni ed Enti locali, sono rimaste “entità metafisiche” e trasformano il principio no taxation without representation in una specie di mostro giuridico: representation without taxation. Il che non ha reso alcun un buon servizio né alla democrazia, né alla responsabilità. In questa situazione, il federalismo fiscale rappresenta quindi un’occasione per una rivincita della democrazia e della responsabilità. Soprattutto al Sud.


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La mancanza di federalismo fiscale ha reso, infatti, non necessaria la responsabilità nella gestione dei nuovi poteri che venivano trasferiti: rimaneva sempre un pagatore/garante di ultima istanza, lo Stato, cioè la generalità dei contribuenti. Questo sistema ha quindi favorito, moltiplicandolo in modo esponenziale, un atteggiamento culturale di tipo parassitario nei confronti della cosa pubblica; ha contribuito cioè a favorire, anziché contrastare, certi malcostumi propri di alcune nostre amministrazioni.

 

È recentemente emerso che nella sanità il debito accumulato dalle cinque regioni meridionali commissariate ammonta a circa 27 miliardi di euro, una cifra che è pari a una manovra finanziaria. La resistenza politica al commissariamento è stata, peraltro, fortissima. E intanto, la cronaca porta a galla sempre con maggiore frequenza casi di situazioni di mala – o addirittura allucinante – amministrazione.


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Giustamente, quindi, il federalismo fiscale è stata definita la “riforma delle riforme” e giustamente Calderoli ha affermato che essa si inserisce in perfetta sintonia con la prospettiva della riforma fiscale nazionale. Molti altri, tuttavia, non sembrano avere consapevolezza di questa situazione: quando si abbina il federalismo fiscale al refrain sulla duplicazione delle strutture e al rischio dell’aumento dei costi, si ripete un luogo comune economicamente e logicamente sbagliato, che non risponde minimamente alla realtà delle cose.

 

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Il rischio della duplicazione delle strutture può, infatti, nascere dal decentramento di nuove funzioni, dove lo Stato, mentre trasferisce le funzioni agli enti territoriale, non ridimensiona adeguatamente la propria macchina amministrativa. Il federalismo fiscale è invece tutt’altra cosa rispetto a questo processo: non trasferisce funzioni, semplicemente razionalizza il meccanismo di finanziamento delle funzioni esistenti.

 

E la legge approvata lo fa attraverso il finanziamento in base al costo standard che porta per definizione a un risparmio e una razionalizzazione della spesa pubblica, perché introduce un solido criterio di efficienza e di responsabilità. Questa responsabilità sul lato della spesa è poi rinforzata sul lato dell’entrata perché gli amministratori regionali o locali che spenderanno più del costo standard dovranno chiedere le risorse aggiuntive ai loro elettori, senza più poter minimamente contare sui ripiani a piè di lista da parte dello Stato.


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Al contrario di quello che spesso si dice, quello che sappiamo con certezza oggi è che il vero costo in Italia è quello che deriva dalla mancanza di federalismo fiscale, che ha creato la peggiore delle situazioni possibili, dove per effetto dei processi di decentramento degli ultimi anni è aumentato il potere di spesa degli amministratori regionali e locali, ma chi spende male è premiato e chi è efficiente è punito, chi manda in dissesto il bilancio di un Comune continua imperterrito la propria carriera politica, ecc.

 

A tutto questo la riforma, con una valorizzazione del principio di responsabilità che a memoria non è dato riscontare in altra legge italiana, è destinata a scrivere la parola “fine”. Se si aggiunge che il federalismo fiscale potrà essere lo strumento per cointeressare i Comuni nella lotta all’evasione, per prevedere meccanismi premiali, per favorire la razionalizzazione dei processi di perequazione, ci si rende conto che questa riforma apre una significativa sinergia per ridisegnare in termini moderni tutto il vecchio e odioso impianto del sistema fiscale italiano.

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