I piccoli nel mirino

Regole e merito sono concetti di moda ai giorni nostri: non perché se ne faccia grande uso, ma perché se ne parla molto

Regole e merito, concetti di moda ai giorni nostri: non perché se ne faccia grande uso, ma perché se ne parla molto. Quella per privilegiare chi le cose le sa fare e non l’amico dell’amico, così come quella per affermare una norma di comportamento e per ottenerne il rispetto è una battaglia da fare e di cui il Paese ha bisogno. Punto.

 

Come in tutte le battaglie però è bene scegliersi gli alleati giusti affinché finita la guerra, e nella speranza di averla vinta, le macerie non siano talmente tante da rendere pressoché impossibile la ricostruzione. Il nemico di regole e merito è il potere che pretende di stabilire a proprio piacimento riconoscimenti e modalità d’azione.

Nel caso Pomigliano è il potere di parte del sindacato, declinante ma pur sempre presente, che, pretendendo di dettare le regole, si oppone a una sacrosanta richiesta di impegno in cambio di lavoro. Nel caso della politica e dell’amministrazione è il potere delle varie cricche che con la richiesta di tangenti e agevolazioni varie governa la concessione di appalti e lavori. Poiché però non c’è solo il nostro Paese, è il caso dell’Europa dove lobby sempre più potenti pretendono di regolamentare tutto, dall’alto, causando gravi problemi all’azione di chi opera nella realtà di tutti i giorni.

E ora che i bankers sono tornati, Tremonti dixit, sarà bene domandarsi dove finisce il merito quando ingenti premi di fine esercizio sono assegnati a chi ha causato così gravi danni al proprio istituto e alla sua clientela. Qualcuno, invece, preferisce prendersela con chi potere non ne ha mai avuto e, anzi, ha sempre subito l’iniziativa altrui: le piccole e medie imprese di proprietà familiare. “Piccolo è brutto anzi bruttissimo”, si afferma, perché significa sopravvivenza a discapito delle regole, segnatamente quelle fiscali, e del merito, laddove la successione generazionale finisce con il privilegiare i rapporti affettivi e di sangue piuttosto che il valore delle persone.

Verrebbe da rispondere che i paradisi fiscali non li hanno certo inventati e utilizzati i piccoli imprenditori italiani e che le cordate manageriali all’interno delle quali si fa carriera più velocemente perché sponsorizzati dal vertice aziendale non è certo fenomeno tipico della piccola e media impresa familiare. Certo in Italia grandi imprese, pubbliche e private, ce ne sono poche e gran parte dell’economia si regge sulle aziende di minori dimensioni e dunque sembrerebbe logico far risalire a esse l’origine dei limiti del nostro operare economico.

Tuttavia sarebbe molto più credibile se prima degli eventuali limiti si riconoscessero gli immensi meriti, appunto, di queste realtà imprenditoriali che assumono quando altri licenziano, che reinvestono capitali propri quando altri sfruttano il più possibile la cassa integrazione, che si specializzano e fanno innovazione quando altri si rifugiano, complici in alcuni casi le privatizzazioni degli scorsi anni, in aree protette. Solo l’educatore attento e affezionato ai propri discenti, e capace di valorizzarli, è credibile nell’eventuale necessità di correzione.

 

Di fatto, chiunque guardi alla realtà senza pregiudizi di sorta sa bene che quello del merito e delle regole è problema che taglia trasversalmente la società, presente in tutti gli aggregati sociali, nei piccoli centri come nelle grandi metropoli, al nord come al sud, a destra come a sinistra. Non è con iniezioni di cultura anglosassone o con lezioni intellettuali dall’alto che si può risolvere o ridurre il problema: così facendo si rischia solo il rigetto o, peggio, l’indifferenza.

 

Occorre tornare all’idea e alla pratica di bene comune, all’educazione della persona in relazione con i suoi simili come richiamava recentemente il Patriarca di Venezia presentando a Milano il suo ultimo libro Buone ragioni per la vita in comune. Religione, politica, economia. Nella società dell’omo homini lupus non ci sarà mai, infatti, regola sufficiente a temperare la furbizia e la prepotenza individualistica.

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