La lezione del Papa alla politica

- Mario Mauro

Nel cuore del paese malato di “statolatria”, il papa richiama l’Europa a rivolgere lo sguardo verso l’alto. Solo così, dice MARIO MAURO, si può essere liberi dai poteri dominanti di oggi

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Benedetto XVI a Santiago de Compostela (Ansa)

“In questi tempi sono necessari forti amici di Dio”. Così nel XVI secolo Santa Teresa D’Avila, nella sua opera “Vita”, descriveva il difficile momento storico che stava vivendo. Un momento di incertezza e confusione dovuta alla riforma protestante di Lutero. Le parole di Santa Teresa risultano oggi più che mai attuali, se pensiamo al bivio davanti al quale si trova oggi l’Europa.

Per questo, nel momento di massima incertezza culturale e spirituale della storia europea, la visita di Benedetto XVI a Santiago di Compostela e Barcellona è sembrata provvidenziale. “Come il Servo di Dio Giovanni Paolo II, che da Compostela esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane, anch’io vorrei esortare la Spagna e l’Europa a edificare il loro presente e a progettare il loro futuro a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che rispetta questa verità e mai la ferisce, e dalla giustizia per tutti, iniziando dai più poveri e derelitti. Una Spagna e un’Europa non solo preoccupate delle necessità materiali degli uomini, ma anche di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose, perché tutte queste sono esigenze autentiche dell’unico uomo e solo così si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene”.

Ha pronunciato queste parole proprio in Spagna, il paese simbolo di una filosofia che don Sturzo avrebbe definito “statolatria” e quindi contro la libertà dell’uomo proprio perché contro Dio. Oggi assistiamo, ad esempio, al dilatarsi di meccanismi di tutela delle cosiddette “libertà individuali” che vogliono mettere i cittadini al riparo da ogni presunta invadenza di potere.

E’ bene che la politica accolga il richiamo di Benedetto XVI in modo che venga dato nuovo vigore alla sottolineatura delle radici cristiane del nostro continente, affinché tutti quanti possiamo guardare al futuro partendo da basi solide in cui ogni cittadino possa riconoscersi e non cadere in un vuoto che genera solo paura o peggio indifferenza.
 

Anche la consacrazione del Tempio della Sagrada Familia contiene un forte messaggio simbolico per l’Europa. Proprio un mio articolo di 2 anni fa circa su questa testata, titolava “Costruiamo insieme ai cittadini l’Unione Europea come una cattedrale”. Questo è il senso del viaggio in Spagna di Benedetto XVI.

Come aveva fatto il maestro Gaudì, l’Europa deve ritornare a rivolgere il proprio sguardo verso l’alto, per recuperare davvero quel senso di libertà dall’oppressione del potere che il pensiero dominante di oggi pensa invece di donarci. E pretende di farlo negandoci la possibilità di riconoscere e di poggiare il nostro desiderio di felicità su quelle stesse fondamenta gettate dagli architetti di quel progetto, unico ed irripetibile, chiamato Europa Unita.

Strappare la presenza cristiana dal contesto europeo coincide con il venir meno di un pluralismo sostanziale. Significa non voler ammettere che grazie alla comune esperienza cristiana di chi ha fondato l’Unione europea, nel mondo esiste ancora qualcuno che riesce a salvaguardare ogni singola esperienza. Viceversa, difendere le minoranze cristiane da persecuzioni e discriminazioni, rivendicarne il diritto alla dimensione comunitaria nella società – carico di quel dinamismo creativo di corpi e realtà intermedie – vuol dire porre le premesse per uno sviluppo pienamente democratico della convivenza tra gli uomini.



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