Perché c’è qualcosa anziché niente?
Il New York Times ha dedicato un editoriale alla domanda di Martin Heidegger. La risposta del quotidiano americano non è però convincente

In quale quotidiano dell’establishment americano vi aspettereste di trovare un editoriale ufficiale (quindi non firmato) intitolato “L’Essere di Essere”? Francamente non me ne viene in mente nemmeno uno, e sono rimasto quindi molto sorpreso nel trovare un editoriale di questo genere sul The New York Times pochi giorni fa (il 21 maggio).
Ho pensato che era realmente sorprendente che il Times fosse pronto a rivelare i presupposti filosofici sottostanti alla scelta delle notizie che i suoi redattori considerano “adatte alla stampa” (come dichiara il motto del Times) e il modo in cui devono poi venire trattate.
L’editoriale comincia con questa domanda: “Perché c’è qualcosa invece di niente?” Ovviamente, questa è la famosa domanda di Martin Heidegger, presa a prestito da Leibnitz, e discussa da lui nella famosa conferenza su “Cos’è la Metafisica?”. Filosofi di ogni scuola di pensiero hanno trattato la stessa questione, prima e dopo Heidegger. La risposta data da Heidegger è stata criticata, apprezzata, rigettata o ampliata; la sua formulazione è stata cambiata, però la maggior parte dei filosofi hanno riconosciuto che questa è la questione fondamentale della filosofia occidentale.
Invece, secondo i redattori del Times, la discussione filosofica sulla questione è stata una perdita di tempo, perché sono i fisici e i matematici che possono trattarla al meglio. Questo è ciò che loro sanno: “La materia e l’antimateria create nel Big Bang avrebbero potuto cancellarsi l’un l’altra lasciando il niente, invece di qualcosa che noi chiamiamo universo. Perché questo non sia successo può essere in parte spiegato da quanto emerso in un recente esperimento con il Tevatron, un acceleratore di particelle, al Fermilab di Batavia, Illinois”.
Apparentemente, tutto si basa su una “deviazione molto piccola”, “un’asimmetria nel comportamento di una particella subatomica neutrale, il B-meson. Nell’oscillare tra i suoi stati di materia e antimateria, essa mostra una piccolissima predilezione per lo stato di materia, un risultato previsto da Andrei Sakharov”.
Bene, sono molto contento per questa predilezione del B-meson, che anch’io condivido, solo che la preferenza del B-MESON per sopravvivere come materia sembra del tutto piccola, circa l’1%, mentre la mia è il 100%! Gli scienziati, tuttavia, credono che questa predilezione dell’1%, quasi un curioso ghiribizzo, possa bastare a spiegare la preponderanza della materia. I ricercatori si aspettano di scoprire di più sulla questione dal Tevatron e dal suo più grande cugino europeo, il Large Hadron Collider.
Quali sono, allora, le conseguenze antropologiche della piccola preferenza del B-meson per l’esistenza materiale? Che cosa è l’uomo secondo l’interpretazione che The New York Times dà del significato di questi esperimenti?
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Semplicemente questo: “Siamo, come sappiamo, fatti di polvere stellare e di altri elementi formatisi nel Big Bang e nella successiva creazione e distruzione di stelle. L’esistenza stessa di ciò che nell’universo chiamiamo materia può dipendere da una piccola deviazione nella variazione frenetica di una particella, che possiamo soltanto rilevare per un momento nelle fornaci più calde mai create dall’ uomo”.
Questo giudizio non è, di sicuro, sorprendente, perché è la pericolosa riduzione dell’umanità solo a ciò che può essere osservato, descritto e riprodotto in modo empirico. I fisici si sono preoccupati per le implicazioni di questa riduzione da molto tempo. Ricordo la conversazione fra Werner Heisenberg e altri fisici importanti, “padri” della meccanica quantistica.
La conclusione di Heisenberg è che quando si è totalmente spenta la “bussola magnetica” che dobbiamo seguire nel cercare la nostra strada attraverso la vita (nella fedeltà a quell’“ordine centrale” che definisce la razionalità dell’universo), “cose terribili possono accadere, che superano di gran lunga i campi di concentramento e la bomba atomica”. L’editoriale del Times riduce questo “ordine centrale” al comportamento irrazionale, osservabile sperimentalmente, di una particella elementare.
Secondo la prospettiva della fede cattolica, c’è nell’editoriale un’osservazione che suggerisce la strada da seguire, anche se il redattore non se ne è reso conto. È il commento che la domanda di Heidegger è la domanda di un bambino. Infatti, è soltanto attraverso la semplicità e lo stupore di un bambino che possiamo sperimentare quell‘ordine centrale chiamato dall’Evangelista Giovanni il “Logos”, che è poi diventato un bambino umano.
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