Un fatto inaudito

PIGI COLOGNESI, proprio in occasione della chiusura del mese dedicato a Maria racconta le sue impressioni visitando la cattedrale di Chartres

Fin dall’ultima settimana di aprile avevo pensato che uno dei successivi editoriali l’avrei dedicato a Maria, ricordata con specialissima intensità e tenerezza durante il mese di maggio. Ma poi non mi veniva lo spunto, ogni idea mi sembrava banale e mi sono ridotto a sfruttare l’ultimo giorno utile. Il materiale a disposizione era in realtà pressoché infinito: bastava dare un’occhiata alla storia dell’arte, sfogliare qualche antologia letteraria, fare un giro fra città, campagne e vallate strapiene di segni di devozione alla Madonna. O passare una domenica in qualche santuario mariano, dove un popolo fatto di gente normale si rivolge fiducioso alla Madre del cielo.

Eppure qualcosa non andava. Ho dovuto così ammettere di essere lontano dalla semplicità di quel popolo, dalla carnale confidenza che ha costruito i capolavori d’arte, dettato le pagine di poesia, suscitato le note degli infiniti canti popolari. Subisco la tentazione di un cristianesimo intellettuale, dove prevale la teoria, l’analisi, il discorso. Invece in quella giovane ragazza si è trattato solo di fatti, di cose e di accadimenti.

Quando la civiltà non era ancora intaccata dal tarlo dell’intellettualismo si dava privilegio ai fatti; per questo i medievali amavano così tanto le reliquie. Comprese quelle della Madonna.
Naturalmente non si trattava del suo corpo, assunto in cielo, ma di oggetti a lei legati. Come il velo che portava quando è nato Gesù e che l’imperatore Carlo il Calvo nell’876 donò alla Chiesa di Chartres.
Vescovo, clero e popolo ingrandirono a più riprese la vecchia cattedrale per onorare una reliquia così importante; fino alla maestosa costruzione romanica dell’inizio dell’anno mille.
Ma nel 1194 un disastroso incendio distrusse il magnifico edificio.

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Persino la preziosissima reliquia sembrava perduta. Il senso cristiano dei fedeli capì subito che la disgrazia era un segno del cielo che invitava alla conversione. E grandissima fu la gioia quando, tra le macerie, fu ritrovato il santo velo. Iniziò allora l’opera di ricostruzione. Ha scritto Huysmans: «In Francia a quei tempi la Madonna era amata: come si ama colei che ci ha partorito, come si ama un’autentica madre. Alla notizia che Lei, scacciata dall’incendio, è costretta ad errare in cerca di un rifugio, tutti si affliggono, scoppiano in pianto sconvolti; le popolazioni lasciano a mezzo i loro affari, abbandonano le loro case per correre in suo soccorso».

 

E in pochi decenni sorse la nuova, splendida cattedrale, coi suoi magnifici portali zeppi di statue, con le sue vetrate nelle quali ogni corporazione di mestieri ricollegava il proprio lavoro alla storia sacra, con le sue guglie inconfondibili, che da lontano salutano il pellegrino. La reliquia della Madonna aveva ritrovato la sua degna dimora.

 

Ma poi è venuto il cristianesimo intellettuale. Quando ho visitato Chartres il velo della Vergine se ne stava dimenticato in una cappella laterale, scura, un po’ polverosa, con un cartello esplicativo che parlava di vecchie credenze e di leggende medievali. Le guide turistiche si concentravano piuttosto sulle innovazioni formali del gotico francese o sulle tecniche usate dai mastri vetrai. Come se quella gente avesse fatto il capolavoro della cattedrale per solleticare i gusti estetici dei loro pronipoti o le ambizioni intellettuali dei turisti. Invece l’hanno edificata per una “cosa”, il velo della Madre di Dio, piccolo segno di un fatto inaudito.

 

E se anche fosse stata una reliquia inventata, oltre mille anni di preghiera la rendono più significativa di tutte le nostre elucubrazioni.

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