Una morte nuda di “ragioni”?

Monsignor Padovese era persona di grande serenità e consapevolezza. Un pastore vero, realista e forte, mai rassegnato

Avevo incontrato monsignor Padovese qualche tempo fa. Era di passaggio a Roma. Il suo racconto della vita dei cristiani in Turchia mi aveva colpito per una certa crudezza, per una vitalità forzatamente costretta all’essenziale, senza espressività possibile.

Compressa nel chiuso delle case. Momenti di culto e intimità delle famiglie. Nessun ornamento né decori. Una fede che doveva fare a meno di tante cose normali, quasi banali. C’era il problema di un accesso alla chiesa attraverso un ristorante, questioni di proprietà. C’era il problema dell’istruzione cristiana ai sacramenti. Il problema dell’isolamento, dell’estraneità a tutto il contesto sociale. Una estraneità che di lì a poco sarebbe diventata ostilità aperta. L’omicidio di don Santoro, quello del giornalista Dink e dei tre cristiani protestanti.

Monsignor Padovese era persona di grande serenità e consapevolezza. Aveva vissuto queste tragedie con un senso profondissimo di obbedienza e di sacrificio e senza mai nascondere che obbedienza e sacrificio era ciò che anche a lui toccava, come cristiano, come servitore della Chiesa cattolica in Turchia.

Le sue parole, rilette oggi, rimandano allo struggente testamento dei monaci di Thibirine trucidati in circostanze mai ben chiarite nel pieno della atroce guerra scatenata dai terroristi islamici in Algeria: una vicenda tornata sotto i riflettori grazie a un film presentato al Festival di Cannes e che speriamo di vedere presto in Italia.

Chi ha ucciso monsignor Padovese potrebbe non avere alcun legame con il difficilissimo contesto religioso e politico di questi giorni in Medio Oriente. Forse una morte nuda di “ragioni”, povera, una pura morte che rende ancora più grandiosa la testimonianza di quest’uomo assassinato barbaramente il giorno prima del viaggio del Papa a Cipro.

Cipro: isola-frontiera, piccola terra ferita, monito per tutti i cristiani, rebus per l’Europa. Il problema di Cipro si chiama Turchia, che ha militarizzato e colonizzato un terzo del suo territorio con l’invasione del 1974. Lì in quella parte dell’isola il cristianesimo è quasi scomparso, ridotto a rovine di chiese e cimiteri, niente più che sassi e muri sbrecciati.

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Un monito per lo più ignorato e l’eccezionalità della visita di Benedetto in una nazione a grande maggioranza ortodossa sta proprio nel portare Cipro davanti agli occhi di tutti. Domenica 6 giugno, insieme al presidente della Conferenza episcopale irachena e ai Patriarchi orientali, monsignor Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, avrebbe ricevuto dalle mani del Papa lo “strumento di lavoro” per l’assemblea speciale del Sinodo di ottobre, dedicato al Medio Oriente dove non c’è pace e dove i cristiani vivono allo stremo.

 

Monsignor Padovese ne sarebbe stato uno dei protagonisti, un pastore vero, realista e forte, mai rassegnato. Oggi tutti questi eventi si legano in una catena misteriosa, in un quadro di fede e di morte.

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