730 da incubo

Cinque considerazioni estemporanee (forse un po’ superficiali, ma sincere) di fronte alla dichiarazione dei redditi

Cinque considerazioni estemporanee (forse un po’ superficiali, ma sincere) di fronte alla dichiarazione dei redditi.

 

Prima considerazione. Non ci capisco assolutamente niente. Mi manca del tutto la competenza anche solo per afferrare il senso esatto delle parole scritte nei moduli e, a essere sincero, mi manca anche la voglia di mettermi a imparare.

Per fortuna il commercialista è persona di assoluta fiducia e posso tranquillamente lasciargli in mano tutto, limitandomi a mettere le firme nelle apposite caselle. Resta però il fatto che il mio interlocutore in tutta questa operazione di calcolare e pagare le tasse – lo Stato – appare come un macchinario lontano e incomprensibile, un’impenetrabile fortezza di moduli, una sanguisuga di cui mi sfuggono le dinamiche e le modalità operative.

Tutto questo non aiuta certo a immaginare la mia dichiarazione dei redditi, e conseguente pagamento delle tasse, come l’espletamento di un dovere civico. Ben che vada è un fastidio; tanto più grande quanto più alta è la quota da pagare.

Seconda considerazione. Mi sembra di pagare troppo. Guardando la cifra finale da versare, quello che prima ho chiamato fastidio prende l’aspetto di un ingiustificato salasso. Ti chiedi dove vanno a finire i tuoi soldi e se, in fondo, non stai buttando via una parte troppo grande del frutto delle tue fatiche lavorative di un anno. La sproporzione tra ciò che dai all’erario e quello che ne ricevi pare di dimensioni inaccettabili. La distanza tra lo Stato e me aumenta.

Terza considerazione. Il salasso delle tasse non mi mette in seria difficoltà. Chissà quanti, invece, non sono altrettanto tranquilli e, vedendo quella cifra finale, restano sgomenti perché si accorgono di non poter cambiare la macchina, mandare il figlio all’università, fare un investimento necessario per l’azienda. Sono fortunato. E mi viene il dubbio che il mio uso quotidiano dei soldi non sia sufficientemente attento, perché tanto alla fine ce la si cava sempre.

Constato quanto mi sia lontana la virtù cristiana della povertà; quella serietà per cui le mie risorse -e i soldi ne sono un emblema – non sono illimitatamente e indiscriminatamente a disposizione, ma finalizzate a qualcosa di più grande della mia soddisfazione.

Quarta considerazione. L’otto per mille l’ho devoluto alla Chiesa Cattolica. Qui sono già più tranquillo perché sono ragionevolmente sicuro di non buttare via i soldi. Adesso poi che c’è tutta la bagarre mediatica sulla Chiesa e ci si aspetta che le offerte diminuiscano a punizione delle, spesso presunte, malefatte di preti, vescovi e cardinali, sono ancora più convinto di dare alla Cei il mio contributo. Fosse anche solo per dire che non mi scandalizzo dei limiti della Chiesa.

 

Quinta considerazione. Più complessa è stata la scelta dell’ente cui devolvere il cinque per mille. Nelle scorse settimane non è praticamente passato giorno in cui una qualche degnissima organizzazione non mi abbia mandato calorosi inviti a sceglierla come destinataria dell’offerta. E dietro ai messaggi molte volte c’erano facce di persone conosciute, iniziative lodevolissime, progetti importanti.

 

Avrei potuto mettermi lì ad analizzare e confrontare ogni proposta oppure scegliere a caso. Alla fine ho optato per l’opera del mio più caro amico. Così anche la dichiarazione dei redditi ha finalmente acquistato l’aspetto umano di un volto.

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