Fine dei sogni

FERNANDO DE HARO parla dei pro e dei contro nel dibattito sull'investitura del nuovo premier spagnolo Mariano Rajoy, un confronto che in poche in poco tempo ha mutato lo scenario

È stato il suono del cambiamento quello che si è sentito lunedì alla Camera dei deputati. Il suono di una politica coi piedi per terra, senza traccia di quel tono utopico che ha dominato la Camera negli ultimi otto anni e che abbondava nelle parole tanto da far passare in secondo piano le misure concrete prese e le cifre. I giornalisti parlamentari sono tornati ad ascoltare attentamente gli annunci che sono stati fatti, che finora erano irrilevanti. 

Rajoy, nel primo giorno del dibattito di investitura, ha cambiato il tono del dibattito politico in Spagna: molta prosa, poca poesia. Sapendo che gran parte del suo discorso non sarebbe giunto al grande pubblico, ha lanciato due messaggi facilmente digeribili da tutti: le festività vengono spostate al lunedì e viene aumentato a tre anni (da due) il periodo da trascorrere a scuola dopo i 16 anni prima dell’università. Sono finiti i ponti, occorre mettersi a lavorare duramente e tornare a studiare seriamente. Realismo su realismo per affrontare la crisi. 

Il pianeta in cui viviamo non sarà più lo stesso, “la Spagna che ci siamo lasciati alle spalle non tornerà e questa vecchia nazione dovrà ringiovanire le sue capacità”. Fortunatamente, il nuovo governo sembra intenzionato a superare lo statalismo. Secondo Rajoy, il soggetto del cambiamento è la società: “Il compito del governo non è quello di sostituirsi alla nazione, ma coordinare i suoi sforzi”. L’aspetto più positivo del discorso è stato il riconoscimento che “devono essere gli spagnoli, e non il governo, i motori del cambiamento, i protagonisti della riforma”; inoltre, è stato deciso un sostegno alle Piccole e medie imprese, da cui dipende l’80 per cento dell’occupazione. Sarà applicata una tassa del 20 per cento a tutte le imprese con meno di 5 milioni di euro di fatturato e sarà sospeso il pagamento dell’Iva finché non l’avranno incassata. Quest’ultimo sarà un sollievo per centinaia di migliaia di piccole imprese che non riescono a farsi pagare e devono anticipare il denaro al Tesoro. 

L’uomo che sarà a capo del governo della Spagna nei prossimi quattro anni è stato molto prevedibile, come ama dire, annunciando quello che farà per controllare il disavanzo, per riformare il mercato del lavoro e sistemare il sistema finanziario. Riducendo il deficit fino al 4,4 per cento del Pil nel 2012, come vuole l’Ue, però, si compromette la stabilità dei conti. Rajoy ha solo anticipato che la manovra di aggiustamento sarà di 16,5 miliardi di euro, ma la grande domanda cui non ha risposto è come pensa di farlo. Zapatero per tagliare 15 miliardi  ha dovuto congelare le pensioni, ridurre gli stipendi ai funzionari pubblici e aumentare l’Iva. Rajoy ha detto che non intende aumentare l’Iva. Tuttavia, il blocco delle assunzioni e la razionalizzazione della spesa non gli basteranno a far quadrare i conti. Ha detto comunque che l’unica promessa che manterrà è di rivalutare le pensioni. Ne consegue che ci saranno tagli in molti servizi pubblici. 

Il settore finanziario in Spagna non è in salute, nonostante si sia detto il contrario negli ultimi anni. La bolla immobiliare ha lasciato un buco nero, difficile da quantificare, che ostacola il flusso del credito. Rajoy ha criticato la gestione del Banco di Spagna e si è impegnato a far luce sulla situazione oscura delle banche e delle casse di risparmio. Ha scommesso sulle fusioni. Vuole evitare in questo modo la soluzione della cosiddetta “badbank” che resterebbe con i “titoli tossici” e che sarebbe mantenuta con il denaro dei contribuenti. 

Sul fronte del lavoro ha parlato di una radicale riforma della contrattazione collettiva, una zavorra del franchismo che rende difficile la creazione di occupazione. Ha suggerito la creazione di un contratto unico che sostituisca i contratti a tempo indeterminato, che hanno un’indennità di licenziamento così alta che nessuno vuole usarli. Una modifica che sarebbe anche storica. E per dar vitalità al sistema pensionistico vuol far in modo che si utilizzi l’intera vita lavorativa della persona per fare i calcoli. Il che, in pratica, significa abbassare le pensioni. Vuole eliminare il pensionamento anticipato, un autentico dissanguamento per le casse pubbliche: l’età media di pensionamento è di 62,5 anni, quando per legge è stata innalzata a 67. Nel peggiore dei casi, quando controllerà lo stato effettivo dei conti pubblici, Rajoy dovrà aumentare le tasse e fare grossi tagli alla sanità e ai servizi sociali. Ma almeno la Spagna riprenderà una strada concreta. Il nuovo governo è disposto a eliminare gli ostacoli messi dall’ideologia e, senza nominarla, scommette sulla sussidiarietà. 

C’è un lato negativo: il discorso fa pensare che il nuovo governo si concentrerà quasi esclusivamente sull’economia. Ma anche misure sul fronte dell’educazione sarebbero importanti: la promozione della formazione professionale in un Paese senza una buona tecnica è più che necessaria. L’anno in più di scuola superiore può essere un aiuto, ma il miglioramento della qualità dell’insegnamento richiede una riforma molto profonda. L’opposizione, in particolare i maltrattati socialisti, hanno teso la mano e cominciato a discutere sul mondo reale e non sui sogni che ci hanno portato al disastro. In questo modo hanno fatto sì che si sentisse con maggior chiarezza il  suono del cambiamento.

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