I nuovi barbari

Ha destato qualche commento, ma poi è stato dimenticato, il paragone di Benedetto XVI tra la nostra situazione e la fine dell’impero romano

Ha destato qualche commento immediato e poi, come purtroppo spesso accade per le cose che pongono problemi inquietanti, lo si è buttato nel dimenticatoio. Sto parlando del parallelo fatto da Benedetto XVI, nel discorso alla Curia romana dello scorso 20 dicembre, tra la nostra situazione e quella che ha portato alla fine dell’impero romano, quando «un mondo stava tramontando» e «non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino». Il paragone mi è tornato in mente qualche giorno fa per una duplice esperienza.

Sabato sera. Sono a passeggio nel centro di Perugia con degli amici. Il corso principale è un andirivieni di giovani e giovanissimi, prevalentemente italiani. Forse perché uno dei miei amici, un professore delle superiori, mi ha appena raccontato che nella sua scuola due studenti hanno tentato il suicidio nel giro di pochi giorni, osservo con più acuta attenzione le ragazze e i ragazzi che mi camminano intorno.

Non c’è niente da fare, hanno l’aria triste, i più giovani addirittura sperduta. Brevi schiamazzi e vestiti all’ultima moda non riescono a nascondere il fatto che assomigliano ai rampolli delle famiglie romane negli anni in cui l’impero si disfaceva; sembrano stufi di tutto. Viene spontaneo pensare che aveva la stessa faccia anche la ragazza che proprio qui, settimana scorsa, si è persa nel bosco dopo una serata di bevute e di droga ed è morta di freddo.

Domenica pomeriggio. Di ritorno da Perugia il mio accompagnatore mi lascia alla fermata della metropolitana di San Donato; è vietato entrare a Milano con l’auto per via del blocco deciso in considerazione dell’alto livello di inquinamento. Pensavo di trovare il deserto tipico delle domeniche pomeriggio e invece c’è un formicolio di gente.

Questa volta in grandissima parte sono stranieri; c’è un mercato all’aperto e, complice il primo tepore dopo il gelo invernale, moltissimi sono venuti qui per piccoli acquisti o solo per fare un giro. Famiglie coi bambini piccoli, gruppi di giovani, bancarelle di ogni tipo. L’aria è festosa, vivace, quasi allegra; si sentono decine di lingue ignote.

Non posso evitare di fare un paragone con la sera precedente. Questa è gente sicuramente più povera di quella che avevo visto poche ore prima. Eppure le facce non sono tristi; sarà perché si stanno rilassando da una settimana di lavoro, sarà perché si godono il piacere di spendere qualcosa di quello che hanno guadagnato; sta di fatto che sono decisamente più freschi. Ai romani stanchi dovevano fare la stessa impressione i barbari disorganizzati che arrivavano nell’impero e in qualche modo vi si inserivano.

 

Altri barbari, invece, l’impero lo volevano distruggere. Si è scritto in questi giorni della battaglia dei Campi Catalaunici del 451. Allora il generale romano Ezio, alleato con popoli barbari integrati nell’impero, riuscì a sconfiggere i temibili Unni di Attila che l’impero lo volevano devastare. Grande vittoria. Ma effimera. 25 anni dopo l’Impero Romano d’Occidente finiva.

 

Non possono essere i nostri volti tristi a interessare e incuriosire la giovane umanità che viene da noi, né bastano le nostre armi a difenderci da chi ci vuol male. Saranno convincenti e ci salveranno – è stato detto – solo i nostri canti.

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