La falsa morale dei puritani

Si sta discutendo molto di moralità (pubblica e privata), di puritanesimo e libertinismo, di lassismo e rigorismo. Tirando in ballo la Chiesa cattolica

Si sta discutendo molto di moralità (pubblica e privata), di puritanesimo e libertinismo, di lassismo e rigorismo. La confusione non manca, in particolare quando si tira in ballo il ruolo del cattolicesimo.

Di solito, si accusa la Chiesa cattolica di essere l’arcigna custode e la rigida propagatrice di una morale repressiva, fatta di divieti, triste. In questi giorni, la frittata è stata capovolta. La Chiesa cattolica, in realtà, sarebbe lassista, chiuderebbe spesso gli occhi sui difetti morali dei suoi fedeli, lascerebbe facilmente correre, evitando la giusta condanna del reo, soprattutto se potente. La prova? Il sacramento della confessione.

Che moralità può mai salvaguardare una religione che consente al peccatore di liberarsi della sua colpa col semplicissimo ricorso all’assoluzione sacramentale? Che garanzia di purezza può mai dare se, col facile ricorso al confessionale, si può cancellare il proprio peccato? Sarebbe questa, tra l’altro, la causa per cui nel nostro Paese l’etica pubblica è così malconcia. Ci è mancata una robusta iniezione di protestantesimo, quello che avrebbe forgiato il ferreo rigore delle popolazioni nordiche.

Ovviamente, la Chiesa cattolica – dicono – non è così tenera coi peccatori per profonda convinzione. La sua natura rimane quella di rigorosa moralista. Se accetta un po’ di elasticità è perché ne trae vantaggi di carattere politico, benefici mondani. Il cardinal Federigo Borromeo dei Promessi sposi non ha perdonato l’Innominato perché così gli impone la sua missione sacerdotale e perché in questo modo cerca come può di imitare l’atteggiamento del Maestro che perdona tutti, lui per primo.

Il furbo cardinale sa bene che il peccatore che ha davanti, in un momento di crisi di coscienza, è un signorotto potente e perdonarlo è il modo per assicurarsene i servigi, per aggiungere un importante tassello al proprio potere. La sentenza di perdono che viene emessa nel tribunale della confessione è uno stratagemma tattico finalizzato al tornaconto della struttura ecclesiastica. Che di per sé tratterebbe tutti col rigore fosco con cui ha costretto nel chiostro la Monaca di Monza. Insomma, il Cardinal Federigo non sarebbe altro che un Grande Inquisitore di piccola taglia, senza neppure la luciferina grandezza del personaggio di Dostoevskij.

 

Io credo che chi sostiene queste tesi non si sia mai confessato veramente neanche una volta. La certezza di essere perdonati non alleggerisce affatto il dolore del proprio male. Anzi, l’approfondisce, gli dà quella fitta che si prova solo quando si è ferito chi si ama e non tanto trasgredito una norma. I grandi peccatori – l’Innominato stesso oppure Miguel Mañara – si stupiscono che essere perdonati sia così semplice.

 

E ne piangono, di un dolore acuto e stranamente gioioso; quello che il puritano attaccato ai propri calcoli di perfezione non conoscerà mai. Da questo stupore pieno di gratitudine prende le mosse, indomabile e continuo, il cammino del cambiamento.

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