Oltre il decadimento
Le lamentele sulla fine, la decadenza, la barbarie che avanza sono una tiritera stabile. Questa visione, però, non è affatto realistica come ha spiegato Ol’ga Sedakova

Ol’ga Sedakova è una grande poetessa russa. Recentemente è stata invitata all’importante convegno teologico che il Patriarcato di Mosca organizza ogni due anni. Il tema era il rapporto tra la fede cristiana e “le sfide della contemporaneità”. La Sedakova vi ha svolto una relazione breve e intensissima, che si può trovare per intero sull’ultimo numero della rivista di Russia Cristiana La nuova Europa.
La poetessa pone in esergo la citazione del salmo: «Cos’è mai l’uomo, perché Tu te ne ricordi?». Poi afferma che, se volessimo sintetizzare in un’immagine unitaria la «musica di fondo» con cui l’umanità odierna definisce se stessa, dovremmo usare parole come disfacimento, naufragio, decadenza.
L’arte contemporanea, dice, cerca spasmodicamente di colpire violentemente l’interlocutore, di «traumatizzare». Spiega: «Sembra che l’artista e il suo pubblico in questo mondo non abbiano visto altro che traumi; il trauma si pone, secondo il parere degli psicologi, alle origini stesse del vivere umano: i “trami infantili” determinano tutta la vita successiva».
Si può agevolmente confermare questa lettura pensando ai nostri mezzi di comunicazione. L’esposizione del traumatico, del torbido, del voyeuristico è all’ordine del giorno; le lamentele sulla fine, la decadenza, la barbarie che avanza sono una tiritera stabile. Persino nell’uso della lingua l’approccio traumatico è vincente: pensate a quante volte nei titoli dei giornali si usa la parola “shock”.
La Sedakova dice che questo può essere interpretato come segno della fine della presunzione illuministica, dell’uomo che s’immagina perfetto e padrone indiscusso della natura e della storia. Ma aggiunge che bisogna stare attenti a non livellare tutto verso il basso. Si dice, infatti, che «dobbiamo abbandonare le grandi idee e progetti perché producono grandi carneficine, le religioni perché generano il fanatismo, rinunciare a tutto ciò che ha in sé una forza, perché forza e violenza non si distinguono più».
Dopo l’abbuffata delle ideologie del Ventesimo secolo, l’unica saggezza sarebbe quella di limitare le aspettative. In fondo l’uomo «è un essere traumatizzato», l’unica cosa da fare è «proteggerlo» (ecco tutta l’enfasi sui “diritti”) e «possibilmente non chiedergli niente di straordinario».
Ma, obietta la Sedakva, questa visione «non è affatto realistica». Infatti, se si parla di decadimento, bisogna presupporre che prima «doveva esserci qualcosa che poi è decaduto. Così come ai traumi infantili doveva pur precedere un soggetto non ancora traumatizzato, poiché non si può traumatizzare qualcosa che non esiste. Prima di decadere bisognava pur essere in una qualche posizione, da cui si è caduti in basso».
Cos’è, dunque, l’uomo? Da poetessa, Ol’ga Sedakova, lo spiega citando un antico poema siriaco. Narra di un giovane che si era perduto in terra straniera e degradato fino a dimenticare lo scopo stesso per cui ci era andato. Come il figliol prodigo, il cambiamento avviene quando al ragazzo torna in mente cos’era prima di ogni trauma subito: «Mi ricordai che ero figlio di re». Un re che non smette di ricordarsi di lui: «Cos’è mai l’uomo, perché Tu te ne ricordi?».
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