Moralismo in cattedra?

Se una tendenza accademica in voga in Usa, secondo la quale l'Inferno non esiste, si rivelasse fondata, a cosa servirebbero, si chiede LORENZO ALBACETE, le nostre tradizioni ecclesiastiche?

Pasqua sta arrivando e, come accade a Natale, i maggiori media dedicano la loro attenzione a ciò che avviene nel mondo della religione. Questa settimana, l’articolo più sensazionalista è stato senza dubbio quello di copertina del Time Magazine, a firma John Meacham: E se non ci fosse l’Inferno?

L’articolo è centrato su un libro del pastore Rob Bell della Mars Hill Bible Church nel Michigan (che attira 7mila persone ogni domenica). Il nuovo controverso best seller del pastore Bell si intitola: L’amore vince: Un libro sul Paradiso, l’Inferno e il destino di ogni persona che è vissuta. Nel libro, Bell argomenta che l’opera redentrice di Gesù è universale, intendendo con questo che, come dice il titolo del libro, “ogni persona che è vissuta” potrebbe avere un posto in paradiso, qualunque cosa esso sia.

Questa posizione ha acceso una nuova guerra santa nel circoli cristiani e al di fuori, compresa una campagna per escludere Bell dalla comunità evangelica. Meacham commenta: “La reazione dei tradizionalisti è comprensibile, poiché le tesi di Bell su paradiso e inferno sollevano dubbi sul cuore stesso della visione evangelica, cambiando la concezione comune della Salvezza in modo tale che il cristianesimo diventa più un atteggiamento mentale etico che una fede basata sulla rivelazione divina… Un cristianesimo alla Bell, meno disposto a giudicare, più fluido, aperto a mettere in discussione la più antica delle supposizioni, è in inesorabile ascesa?”.

Ciò che dà una nuova rilevanza al dibattito attorno a Bell è che il suo messaggio è parte di una intrigante tendenza accademica, che si sviluppa parallelamente agli spostamenti generazionali e demografici messi in evidenza nella Chiesa di Bell. La demografia lavora in favore di Bell: “Sta cercando di raggiungere una generazione che è più a suo agio con il mistero, con le questioni non risolte. Le generazioni passate volevano la verità, ora si apprezza l’autenticità. Il giudizio e il rigore sono qualcosa che la nuova generazione tende a evitare”.

Ma se Bell ha ragione sull’inferno, si chiede Meacham, allora che bisogno c’è delle tradizioni ecclesiali? Perché non chiudere le chiese?

Sfortunatamente, Meacham non parla dell’attuale dibattito su questo argomento all’interno del cattolicesimo, specialmente di quanto scritto da Papa Benedetto XVI nei suoi due libri su Gesù di Nazareth, un metodo interpretativo della Bibbia che dimostra la coerenza dei Suoi insegnamenti.

Il Santo Padre, come fece il Beato Giovanni Paolo II prima di lui, fonda il suo insegnamento sul Concilio Vaticano II. Qui di seguito un buon riassunto della loro posizione tratto dall’enciclica Redemptoris Missio:

Mentre riconosce che Dio ama tutti gli uomini e accorda loro la possibilità della salvezza, (1 Tm 2,4) la chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza… È necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della chiesa in ordine a tale salvezza…. L’universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale”.

Buona Pasqua

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