Meno tasse, ecco il patto

Gli enti locali, spiega LUCA ANTONINI, potranno col federalismo fiscale ridurre le tasse e anche, se vorranno affidarsi alla sussidiarietà, ridurre gli sprechi

All’alba dell’avvio del federalismo fiscale è possibile lanciare un’idea per lo sviluppo di forme di governance ispirate a “più sussidiarietà e meno tasse”. Questa idea riguarda un possibile patto tra politica, imprese e soggetti non profit. Con i nuovi decreti sul federalismo fiscale, infatti, le Regioni avranno la possibilità di ridurre l’Irap, di prevedere la detrazione dei voucher e di riconoscere i carichi familiari; i Comuni potranno ridurre dello 0,30% la nuova Imposta municipale e arrivare a dimezzarla per i fabbricati delle imprese. Così, ad esempio, a Padova, dove oggi le imprese pagano circa 38 milioni di euro di Ici, se il Comune si avvalesse di questa possibilità si scenderebbe a 21 milioni. A Milano, da 231 milioni a 176 milioni. A Torino da 110 milioni a 70 milioni.


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Spesso si dice che queste sono ipotesi da sogno, perché i bilanci “strapelati” di Regioni e Comuni non possono permettersi questi “lussi”. Si tratta di una conclusione che non convince: spesso i bilanci non solo nascondono grosse fette di sprechi, ma contengono anche soluzioni di governance obsolete e tutt’altro che convenienti.


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Molte risorse presenti sui territori non vengono valorizzate e si perpetuano vecchi schemi molto più dispendiosi rispetto alla sussidiarietà. Basti qui ricordare che la riabilitazione nel sistema sanitario (case di cura e ospedali) ha un costo per paziente che si attesta tra i 550 e 900 euro al giorno. Questa, nella forma più tradizionale e semplice, può essere eseguita nelle Residenze per anziani non profit con un costo che va da 50 a 100 euro al giorno! Inoltre, il passaggio dal versante ospedaliero al territorio (Residenze per anziani) ha spesso effetti positivi non solo in termini di risparmio, ma anche sul risultato e sulla qualità della vita della persona.


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Peraltro, in tal modo l’ospedale assolve alla funzione sua propria di intervenire solo sulle acuzie e solo per il tempo strettamente necessario a superare la fase acuta, lasciando ad altre strutture – più esperte in queste attività – il compito di reinserire la persona nelle dinamiche di vita. Tuttavia, questo approccio sta iniziando a essere applicato solo in poche realtà regionali. L’elenco degli ulteriori esempi potrebbe essere ancora lungo.

In questa sede conviene solo ricordare le soluzioni che sono state adottate in altri ordinamenti, come quello tedesco, dove le Gemeindeordnungen (le leggi dei Lander sugli ordinamenti comunali) prevedono la cosiddetta sussidiarietà rinforzata, ovvero la regola in forza della quale gli enti territoriali possono assumere direttamente la gestione di attività imprenditoriali, solo se (e in quanto) siano in grado di farlo a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal mercato.


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Si può quindi concludere, anche alla luce di queste esperienze, lanciando la proposta di un Patto sociale per un nuovo welfare locale: le istituzioni politiche regionali e/o locali si impegnano con un ruolo di arbitro/verificatore in questa direzione di sussidiarietà, realizzando risparmi e riducendo le tasse; gli imprenditori si impegnano a riconoscere una percentuale della riduzione fiscale ai soggetti non profit che garantiscono questi risparmi; il non profit si impegna a gestire con efficienza e con efficacia il ben-essere dei soggetti deboli, documentando l’utilizzo delle risorse ricevute.


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Questo libero patto, più che con nuove agevolazioni fiscali – difficili in un sistema che ne conta già 242 e deve essere semplificato – potrebbe essere siglato in convenzioni tra imprese sociali, associazioni di categoria, Enti morali, da un lato e le Istituzioni politiche preposte dall’altro. Si tratterebbe di un nuovo concreto inizio di una stagione di “meno tasse e più sussidiarietà”: una Big Society a carattere federalista.

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