Le chiese non bastano

Ieri il cardinale Jozef Tomko, su mandato di Benedetto XVI, ha presieduto a Mosca le solenni celebrazioni per il centenario della cattedrale dell’Immacolata Concezione

Ieri il cardinale Jozef Tomko, su mandato di Benedetto XVI, ha presieduto a Mosca le solenni celebrazioni per il centenario della cattedrale dell’Immacolata Concezione. Da noi sarebbe una ricorrenza tutto sommato trascurabile. Ma, se pensiamo alla storia degli edifici sacri nell’Unione Sovietica, dobbiamo ricrederci.


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La stessa chiesa oggetto dei festeggiamenti ha un passato molto doloroso. Consacrata nel 1911, venne confiscata in epoca staliniana, quindi chiusa e trasformata in fabbrica. Non c’era posto per edifici di culto nella società fondata sui rigidi principi dell’ateismo militante. Ed è andata ancora bene, perché a questa chiesa non è toccata la sorte di distruzione riservata dal regime a migliaia di altri edifici sacri meno in vista. La sorte raccontata da Aleksandr Solženicyn: «Percorrendo le stradine interne della Russia cominci a capire dove sta la chiave del pacificante paesaggio russo. È nelle chiese. Dovunque tu stia vagando non sei mai solo: al di sopra del muro dei boschi, t’attira la cupoletta d’un campanile. Ma non appena entri nel villaggio scopri che a salutarti così da lontano non eran già dei vivi ma degli uccisi. Le croci sono da tempo abbattute e torte; la squarciata cupola si spalanca su una carcassa di costole rugginose; sui tetti e nelle fessure dei muri crescono le erbacce; gli affreschi dell’altare son dilavati dalle piogge di decenni e coperti di scritte oscene».


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Una devastazione pianificata, dalla quale non si è salvato quasi niente. E bisogna ricordare che dietro a ogni edificio di culto c’è il sacrificio di una comunità cristiana viva: la ricerca dei soldi, gli uomini che danno una mano nel cantiere e le donne che preparano i paramenti; proprio come si fa per mettere su casa quando ci si sposa. Era questa vitalità che il regime voleva seppellire sotto le macerie delle chiese sistematicamente distrutte.

Ed è stata questa vitalità che, non appena è arrivata la perestrojka, ha consentito alla cattedrale di Mosca di rinascere. Dal 1990 i cattolici di Mosca hanno cominciato a celebrare la messa sui gradini della chiesa/fabbrica, poi ne hanno ottenuto il riutilizzo e infine, nel 1996, la cattedrale è stata nuovamente consacrata. E ora può celebrare il suo centenario, senza dimenticare la ferita aperta da sessant’anni di profanazione.


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Anche nel nostro paesaggio italiano la chiesa è un elemento centrale e i campanili un catalizzatore dello sguardo. Le requisizioni e le profanazioni, imparagonabili con quelle effettuate in terra russa, ci sono state anche da noi; basti pensare a cosa hanno fatto le truppe napoleoniche o all’incameramento deciso dallo Stato unitario. Ma una chiesa di pietra muore solo se la comunità che la dovrebbe abitare è morta lei stessa.

Qualche settimana fa mi è capitato di assistere a un concerto in una bella e antica chiesa di Milano. Niente di male, per carità, in questo tipo di utilizzo. Ma ascoltando il magnifico Miserere di Allegri e constatando che per la stragrande maggioranza degli uditori si trattava solo di un famoso pezzo di musica antica, non riuscivo a togliermi l’impressione che anche quella bellissima chiesa non fosse percepita ormai altro che come un museo.


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Rispettato, s’intende, ma come si rispettano gli scavi archeologici di una civiltà defunta. Perché una chiesa sia viva bisogna che la abiti un pezzo di Chiesa viva.

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