La lezione di Pasolini alla violenza di Beppe Grillo

Il Potere è subdolo e muove le sue pedine inconsapevoli sulla scacchiera del destino. Così poliziotti e manifestanti a volte invertono i ruoli. Ma chi ha ragione? Ne parla GIUSEPPE FRANGI

Eh no, caro Grillo, non si usa così impunemente Pasolini. Ieri il leader dei 5stelle ha fatto ricorsi ad un escamotage retorico per commentare gli scontri tra studenti e polizia che chiaramente si rifaceva alla celebre poesia di PPP dopo la battaglia di Valle Giulia del 1 marzo 1968. Allora, spiazzando tutti e rompendo gli schemi, Pasolini aveva fatto una scelta dei campo a favore dei celerini, proletari e figli del popolo, contro gli studenti, rampolli della borghesia. Se Pasolini aveva scelto la strada più difficile che gli avrebbe procurato tante ostilità in particolare a sinistra, Grillo invece sceglie lo schema più demagogico a sua disposizione, invitando i poliziotti a lasciare manganelli e divise per unirsi alle ragioni e alle fila di chi protesta. «Soldato, togliti il casco e abbraccia chi protesta, cammina al tuo fianco», ha detto Grillo. «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano», aveva scritto invece Pasolini.
Sono due sguardi che più diversi non si potrebbe immaginare. Prendiamo alcuni valori e fattori in gioco. Ad esempio il valore del lavoro: Pasolini vede nei poliziotti non delle sentinelle del potere costituito, ma gente chiamata a un lavoro, certamente ingrato, ma che pur sempre ha la dignità propria di ogni lavoro. Ed è culturalmente significativo che Pasolini si schieri dalla parte di chi lavora. Nell’orizzonte di Grillo questo elementare senso della realtà non esiste più: decide tutto una istintività semplicistica che spiana ogni cosa, nel segno di una logica sommaria e tutta attenta alle ripercussioni mediatiche. Per Grillo che quegli uomini in divisa, obbedendo ad ordini magari discutibili, portino a casa il conquibus per le oro famiglie è fattore del tutto irrilevante.
C’è poi il fattore dei giovani. Pasolini non è accondiscente nei loro confronti; per quanto sia stato l’intellettuale italiane che più li abbia seguiti, descritti e anche amati, non fa loro nessuna facile concessione. Non li coccola con quell’insopportabile e irresponsabile compiacenza cui quasi tutti gli intellettuali e i media dopo di lui ci hanno abituati. Nulla di peggio per un giovane che sentirsi dar ragione perché così fa comodo all’adulto. Se una protesta non porta a niente, se una protesta è addirittura funzionale al potere contro cui si scaglia, meglio trovare sulla propria strada qualcuno che abbia il coraggio di parlare e di gridartelo in faccia sfidando l’impopolarità che tanta stupida e interessata tolleranza.
Infine c’è il fattore del potere. Grillo ne replica una visione manichea: del resto oggi, con la crisi che morde, la politica in mano a tecnici più dogmatici che competenti il gioco è facile.

Invece il potere ha profili più complessi, e ad esempio spesso usa dei suoi detrattori per rafforzarsi e per incassare obiettivi sottobanco. Pasolini lo sapeva bene, e con la sua intelligenza e passione umana molte volte aveva scoperto questi doppi giochi: come ad esempio nel caso dell’aborto, approvato e “venduto” come conquista di libertà e di progresso e da lui invece bollato come imbarbarimento e soprattutto di omologazione. Oggi Pasolini si sarebbe accorto ad esempio del gioco ambiguo che il potere sta facendo nei confronti della chiesa e della società civile: un consenso formale nasconde una sottrazione di spazi e un’erosione sistematica di risorse, come il caso Imu insegna. 
E avrebbe detto ai giovani scesi in piazza di svegliarsi e di aprire gli occhi, perché da scelte come queste ne va del loro destino e anche della loro libertà. Grillo di questo naturalmente non se n’è neanche accorto. Il potere, quello vero, ha sempre bisogno di giullari così…

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