L’Europa sconfitta a Gaza

L’attentato dell’altro ieri a Gerusalemme sembrava aver soffocato in partenza ogni speranza di una tregua in Terrasanta. La pace, invece, resiste. Ne parla MARIO MAURO

L’attentato dell’altro ieri a Gerusalemme sembrava aver soffocato in partenza ogni speranza di una tregua in Terrasanta. Il cessate il fuoco concordato mercoledì sotto il coordinamento dell’Egitto sembra invece resistere. Non può che essere un’ottima notizia, anche considerando le premesse di inizio settimana. La situazione al momento è paradossale, visto che Hamas ha proclamato «la giornata di festa nazionale per la vittoria», allo stesso tempo Israele ha festeggiato dicendo che gli obiettivi sono stati raggiunti. In realtà, come sempre, non ha vinto nessuno. E’ inutile illudersi: non c’è mai stato niente di certo, e la situazione rimarrà instabile e confusa anche nel prossimo futuro.
In molti hanno descritto l’operazione israeliana chiamata “Pilastro di Difesa” come molto simile a quella effettuata alla fine del 2008, denominata “Piombo fuso”. In effetti alcune similitudini esistono: oltre ad essere un ritornello già sentito e risentito, con le rappresaglie veementi di Israele in risposta alle violente provocazioni di Hamas, è giusto sottolineare il fatto che siano imminenti le elezioni nel paese ebraico e quindi si può pensare ad un ritorno elettorale per chi governa in questo momento.
Dobbiamo però considerare un fatto di straordinaria importanza avvenuto in questi ultimi anni. Dal 2008 in poi, con un’accelerazione nel 2010 quando è esplosa la Primavera araba, gli equilibri di quella parte del mondo sono profondamente mutati. Non è affatto un caso che l’Egitto sia il paese attorno al quale ruota tutta la vicenda. Attorno a Gerusalemme non vi sono quasi più Stati. I jihadisti si muovono con molta disinvoltura in Siria, il Libano è scosso dall’onda d’urto della crisi siriana, Hezbollah è sempre in agguato. In Giordania il regime vicino a Israele trema. L’Egitto è guidato dalla casa madre di Hamas, i Fratelli musulmani, quindi cerca di destreggiarsi tra solidarietà ideologica verso Hamas e il realismo di chi sa benissimo della poca convenienza di un conflitto con Israele.
Che ruolo ha l’Europa? Dovrebbe contare di più. Sia il Consiglio europeo che il Parlamento sono sostanzialmente d’accordo sull’analisi dello scontro israelo-palestinese. Un caposaldo della posizione europea rimane la formula “due popoli per due Stati”. C’è condivisione anche sullo scenario: rispetto al tradizionale terreno di scontro è cambiato il mondo attorno. Ciò rende molto più pericolosa questa crisi rispetto al passato. Gli Stati Uniti sono meno credibili di un tempo sullo scenario mediorientale. Per questo un contributo forte dell’Unione europea sarebbe di estrema utilità. Possiamo fare molto ad esempio per il controllo dei valichi, come già dimostrato nelle crisi precedenti.


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Anche l’esperienza italiana in Libano deve essere presa in considerazione perché dimostra che siamo tra i più affidabili ed esperti per quanto attiene il controllo dei movimenti di armi tra Iran ed Israele. Il coinvolgimento italiano in modo più diretto, infatti, oltre a riconfermare l’andreottiana definizione dell’”equivicinanza”, cioè di una capacità di coinvolgimento con le ragioni dei fronti in gioco, è preziosa anche perché allude al conflitto dietro al conflitto. 
L’operazione “Pilastro di difesa” è un capitolo della guerra tra Israele e Iran. Hamas è considerato da Gerusalemme il braccio armato dell’Iran. L’utilizzo degli italiani, che hanno dimostrato di essere capaci di operare senza troppi problemi insieme ad un’altra potenza strategica dell’area, le forze armate turche, potrebbe essere un elemento importante per la gestione della crisi. 
In questo senso non sarebbe sbagliato un disimpegno delle nostre forze in Afghanistan per reimpiegarle in quest’area.

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