Il welfare dei liberi

Parlare di welfare sussidiario può essere utile a rimettere a fuoco i fondamenti che altro non sono se non un nuovo senso dello Stato. L’analisi di LORENZA VIOLINI

È tempo di grandi innovazioni, che consentano di far fronte alla crisi economica in cui settore pubblico e settore privato sono avviluppati e da cui cercano di emanciparsi, purtroppo spesso usando strumentazione obsoleta. Dove reperire, invece, elementi di novità se non in quel bagaglio di tradizioni culturali il cui intreccio ha fatto da fondamento all’Italia moderna? Così, il confronto tra culture alla ricerca di una nuova “cultura costituente” diviene il lavoro che dovrebbe servire a ripartire.

Per confrontarsi, è importante partire da un chiarimento del proprio punto di vista. E, in questo senso, tornare a parlare di welfare sussidiario può essere utile a rimettere a fuoco i fondamenti che, nella scia del personalismo cattolico, altro non sono se non un nuovo senso dello Stato, basato su un nuovo contratto sociale, in cui coinvolgere non solo l’homo homini lupus, ma il soggetto-persona, inserito nella rete della formazioni sociali che lo sorreggono e ne sviluppano le potenzialità, a partire da quel desiderio di verità, giustizia e bellezza che ne determina il cuore.

Tale soggetto, libero e responsabile, si muove per rispondere alla spinta impressa nel suo dinamismo fondamentale dal proprio desiderio. Egli costruisce ora opere capaci di generare welfare quando fa fronte – secondo le logiche del non profit – a bisogni che non trovano altrimenti risposta, ora imprese in grado di produrre benessere agendo sul mercato e rischiando del proprio come imprenditore, ora soggetti politici e istituzionali che non pensano a sé come centrali ma che sono in grado di valorizzare chi è presente e già risponde, secondo il più puro insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa.

Se questa è una concezione della sussidiarietà che pesca nell’antico ma guarda al futuro, non ci si può stupire se essa è in grado di destare interesse, curiosità e consensi – oltre naturalmente al giusto grado di critiche utili, a loro volta, a incrementare il dialogo e la crescita della reciproca conoscenza.

Punto di incontro della concezione di welfare sussidiario – dinamico, antistatalista e contrario a ogni meccanicismo – con la cultura più autenticamente liberale è, come è immaginabile, il tema della persona libera e responsabile, in grado di muoversi autonomamente sulla strada dell’innovazione, che non aspetta dallo Stato una risposta acritica ai propri problemi ma – dentro questo perenne dinamismo – diviene capace anche di riconsiderare in modo permanente il contenuto dei propri diritti, rinegoziando in termini più moderni i diritti creditori (ad esempio, i regimi pensionistici) con riguardo alle nuove esigenze e alle nuove possibilità del periodo. Così dice Chantal Delson; così riprende Maurizio Ferrera, ritrovando su questo punto un pieno accordo tra le due tradizioni di pensiero.

Come sviluppare il dialogo? Ancora una volta è il tema della persona al centro della comune riflessione, da rileggere secondo i nuovi rappresentanti del pensiero liberale, da Dahrendorf a Walzer, che rivisitano il senso dell’individualismo alla luce delle relazioni interpersonali, trama del contesto sociale e insostituibili anche per chi si identifica in questa tradizione. E così, una nuova prospettiva di lavoro si delinea, quella di valorizzare al massimo i fattori unificanti delle diverse culture, nel concreto del cammino di ciascuna, una strada non a senso unico, ma aperta agli apporti di tutti coloro che in modo non meccanico o ideologico sono alla ricerca di un nuovo bene autenticamente comune.

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