Cristiani accerchiati

Oltre centomila cristiani vengono uccisi ogni anno e in milioni vengono perseguitati per la loro fede. Un fenomeno, spiega FERNANDO DE HARO, che si tende a sottovalutare

Dalla decolonizzazione del secolo scorso, gli europei e gli americani cercano di vedere il mondo in modo diverso. Ma continuano a farlo dall’alto al basso. È inevitabile: la prospettiva nord-sud si impone, nonostante gli sforzi per superare l’eurocentrismo e l’occidentalismo. Forse il recente interesse degli americani per l’area del Pacifico sta aiutando a cambiare un po’ la mentalità, ma il processo è lento. Questo spiega perché non viene compresa adeguatamente l’importanza che ha il fenomeno della persecuzione dei cristiani all’inizio del XXI secolo.



I media occidentali tendono a non dargli importanza, perché lo considerano un problema ideologico o al massimo morale. Se il media è radicalmente liberale o progressista, quella “dei cristiani” viene considerata dagli editori una questione per esperti di diritto e non conviene dare tanto spazio a queste persone. Se parliamo di una radio, di una televisione o di un giornale indipendente, certamente non saprebbero come affrontare il tema: non è facilmente classificabile, non ci sono di mezzo l’omosessualità o i problemi del libero mercato, né la materia, a essere onesti, c’entra molto con lo scontro di civiltà. Senza andare troppo lontano, infatti, i cristiani del Medio Oriente sono arabi come i musulmani. E così finiscono per non parlarne.



Più di 100.000 cristiani vengono uccisi ogni anno e 200 milioni soffrono a causa della loro fede. È moralmente inaccettabile il silenzio su quello che è un vero e proprio genocidio. Ed è inammissibile, perché in ognuno dei casi di persecuzione non è coinvolta solo la libertà e la dignità di un importante gruppo di persone, ma un incrocio storico da cui dipende il futuro, la libertà e il progresso di gran parte del pianeta.

Prendiamo il caso del Medio Oriente. La mentalità americana con cui si è dato vita all’intervento in Iraq era influenzata da un cristianesimo astratto, incapace di comprendere la radice e il valore storico del credo. Incapace di comprendere il peso decisivo della minoranza caldea, che è stata torturata fin dalla guerra del 2003. I caldei sono l’elemento chiave per garantire uno Stato plurale. Costituiscono un ostacolo agli interessi di Arabia Saudita e Iran nella regione. Per questo c’è chi vuole eliminarli. Questo è ciò che non ha saputo vedere Bush, così come Obama.



I cristiani sono perseguitati in Egitto, Iraq, Iran e Pakistan perché rappresentano la vera libertà, quella che nasce dalla tradizione, non quella inventata a Washington. L’elemento che resiste ai progetti egemonici di sciiti e sunniti. Se trionfano gli uni o gli altri, le prospettive sono negative.

Lo stesso si può dire degli altri tre punti caldi del pianeta. La Cina sarà presto la più grande economia del mondo. Kissinger aveva sostenuto qualche mese fa che gli Stati Uniti la lasceranno andare e che la sua leadership non è in discussione. Ma nel cuore del gigante asiatico si sta combattendo una battaglia decisiva: la sua economia, la sua grande fonte di potere, sta mostrando segni di debolezza, perché il suo sviluppo non è integrale. Il capitalismo di Stato fa acqua perché si dimentica della persona. E anche in questo punto del mondo il trattamento che riceve la minoranza cristiana è un indicatore chiave. La società cinese, cui non basta la nuova ricchezza, sta sperimentando un risveglio religioso. Il Partito comunista vuole incanalarlo verso le fedi orientali. Ma nega la piena libertà ai battezzati, perché sa che la loro fede è fatta di storia e implica, alla fine, una messa in discussione del potere.

L’India, con una popolazione di 1.200 milioni di persone e una straordinaria energia sociale, compete per il primo posto con la Cina. Le sue nuove generazioni hanno più capacità di imparare. E in questo subcontinente i cristiani sono anche al centro di un grande uragano: sono la pietra di paragone del nazionalismo indù, un fenomeno poco conosciuto, alimentato dall’ideologia Hindutva, che aspira a controllare il Paese. E in America Latina, il quarto polo dello sviluppo mondiale, la polemica sollevata dalla presenza cristiana non è meno rilevante. Nell’America che parla spagnolo e portoghese, come segnala Enrique Krauze, il presente e il futuro sono contrassegnati da un confronto. Quello tra i “regimi redentori”, che violano le libertà, tra cui primeggia il Venezuela, e tra i paesi veramente democratici. I primi perseguitano culturalmente, non fisicamente, ciò che la fede ha significato e significa in America, odiano l’eredità spagnola.

Il cristianesimo è perseguitato in questi quattro punti del mondo perché rappresenta la testimonianza di un’umanità diversa. La differenza si vede nella sua espressione di carità, nel rifiuto della violenza, anche in campo culturale, sociale e politico. Perché è un segno di contraddizione in favore del benessere reale delle persone.

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