Straordinari per la giustizia

- Roberto Fontolan

Per ROBERTO FONTOLAN, “per evitare tutte le complicazioni morali e giuridiche del ‘decreto svuotacarceri’, bisognerebbe imporre ai tribunali un periodo di lavoro straordinario”

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Foto Infophoto

Qui al Sussidiario abbiamo una idea geniale da sottoporre al ministro Paola Severino per evitare tutte le complicazioni morali e giuridiche del “decreto svuotacarceri”: imporre ai tribunali un periodo di lavoro straordinario per trasferire i 28mila detenuti dalla categoria “in attesa di giudizio” a quella “giudicati”. Solo allora potremo avere dati sicuri e oggettivi. Molti verranno condannati, certamente, ma molti potrebbero andare assolti o comunque scarcerati. Sì, è una idea da uomo della strada, che però legge inorridito le cronache del nostro inferno nazionale, quello che dovrebbe testimoniare “il grado di civiltà di un Paese”, per dirla con le stesse parole del ministro.

Circa settantamila sono i detenuti, più o meno 25mila in più della capienza dei 207 istituti di pena, dei quali un quinto (!) sono stati costruiti tra il XIII e il XVI secolo. Fortezze, monasteri, bastioni da romanzi di Dumas e che invece nell’anno del Signore 2012 ospitano migliaia e migliaia di condannati. Fatevi raccontare cosa è una estate a Regina Coeli o un inverno a Marassi: dolori, sofferenze, umiliazioni, stenti che non hanno a che fare con la giustizia, ma solo con la disorganizzazione, l’indifferenza, la crudeltà. In dieci anni si sono registrati 608 suicidi e un numero sterminato di tentati suicidi o violenze autoinflitte. In molti crediamo che tutto ciò sia abbastanza, che sia ora di cambiare pagina, ma poi le soluzioni divergono.

L’ex ministro Alfano aveva promesso un piano carceri che si sarebbe dovuto attuare proprio in questo anno, con l’apertura di nuovi istituti per circa 10mila posti, ma il piano si è perso per strada. Ora siamo nei giorni di una norma che crea, anche giustamente, polemiche e perplessità. Perciò l’uomo della strada pensa: ma non si può dare una vigorosa accelerata ai processi? Perché non richiedere uno sforzo ai magistrati (che l’uomo della strada non vede stramazzare di lavoro) che si sbattezzano per la legge sulla sanzionabilità del giudice ma dormono sonni tranquilli nonostante tutta quella gente sbattuta in galera ad aspettare e aspettare e aspettare?

Un tale sforzo sarebbe un grande segno di civiltà umana, nel senso degli uomini-magistrati. Gli operai devono sacrificare l’articolo 18, i giovani il posto fisso, le persone di mezza età le pensioni: i giudici non potrebbero fare gli straordinari per, diciamo, un anno? In fondo 70mila persone stanno in carcere, in quelle celle sovraffollate infestate maleodoranti, per decisioni che loro hanno preso: non se ne sentono un pochino responsabili? Dicono che è il sistema a fare acqua, che mancano aiutanti e anche le fotocopiatrici. Ma credono che per cambiare la vita dei detenuti in certe prigioni come Bollate o Padova (qualificate dall’Espresso come “modelli”) non sia stato necessario impegnarsi “contro” i problemi della struttura e fare tante fotocopie fuori dall’orario di lavoro? Dar la colpa alla struttura è sempre equivoco e, si permetta un aggettivo da uomo della strada, infantile.

 

Proprio ieri ho ricevuto la bella notizia di un amico che la sentenza di appello ha completamente prosciolto dall’accusa: il fatto nemmeno sussiste, per lui come per gli altri imputati. Non era un reato di sangue, ma una di quelle storie nebulose di corruzione, per quanto grave e clamorosa, che ormai in questa epoca sventurata ha prodotto anche un suo canone: titoloni sui giornali, galera, professioni distrutte, figli sofferenti. Sono passati otto anni e la corte di secondo grado ha stabilito che dietro e dentro tutto questo c’era il nulla. Nulla, capite? Un fallimento che non può certo essere imputato alla struttura ma a un pubblico ministero che aveva pensato di aver acciuffato i criminali con una inchiesta grande, clamorosa, perfetta -della quale non è rimasto altro che carta straccia.

 

Signori giudici, signori pm, il sistema pullula di casi come questo: se volete mantenere a tutti i costi la sostanziale immunità e impunità (altra cosa che l’uomo della strada ritiene inaccettabile), almeno offrite in cambio del tempo. Finite le inchieste, chiudete i processi dei detenuti in attesa di giudizio. Dimostrate che le vite degli altri vi interessano, che siete pronti a dedicare due ore di sonno o un week end per risolvere il dramma di un poveretto (in quanto innocente o colpevole), che ignorate i clamori dei media per una pratica di giustizia veloce e serena. Voi che realmente lo potete, impegnatevi restituire dignità alle persone e civiltà all’Italia. A farvi le fotocopie verremo noi, uomini della strada.

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