Il “caso” Lombardia

In Italia c’è una regione “più”. Animata da una società civile più dinamica e più creativa. Che ha i suoi problemi, ma in cui si distingue una buona politica. Ce ne parla ROBERTO FONTOLAN

In Italia c’è una regione “più”. Animata da una società civile più dinamica e più creativa. Infrastrutturata da un sistema di trasporti pubblici più efficiente e affidabile. Poggiata su una rete imprenditoriale più solida e innovativa. In questa regione la sanità è migliore che in qualunque parte d’Italia (conosco persone che hanno avuto la vita allungata dalla possibilità di essere assistite gratuitamente in strutture dai costi altrimenti inaccessibili) e le famiglie meno abbienti ricevono un aiuto sostanziale alla libertà di scegliere l’educazione per i propri figli.

Anche in questa regione ci sono un sacco di problemi, naturalmente, non è che la crisi si fermi ai confini; e anche in questa regione ci sono politici che danno pessima prova di sé – l’onestà non è garantita dal fatto di vivere in questa terra. È una regione-più, non l’Eden. Più nel senso che per tutto un complesso di cose, come direbbe Paolo Conte, l’ambiente umano si è fatto più favorevole. Più nel senso che anche la politica si è avvantaggiata di questo ambiente umano e ha cercato più che altrove di incrementarlo e di “servirlo”. E cosa vuol dire servire, cosa vuol dire amministrare – una parola che trova la sua radice nel latino significato del minister, colui che è da meno e che per questo è di servizio agli altri? Qui si aprirebbe lo spazio per una lunga digressione sulla concezione abituale della politica, tuttora bacata dalla sessantottarda idea che la società si compie nella politica, che senza una rappresentanza politica l’esperienza umana resta mutilata e che quindi la politica è il livello supremo della vita civile (poi c’è anche una politica fatta di poltrone, poteri, denari, non siamo però nel campo delle idee), ma lasciamo stare.

È invece il caso di dire che questa regione più si chiama Lombardia ed è da molti anni governata da un presidente che si chiama Roberto Formigoni. A moltissimi piace vivere nell’ambiente umano lombardo, ma forse non a tutti piacciono Formigoni e la sua filosofia di amministrarlo. È normale, è la democrazia, è la politica in un Paese occidentale. Peraltro va detto che finora la grande maggioranza dei lombardi non ha avuto dubbi circa l’amministrazione che preferisce. E va anche riconosciuto che molti italiani, pur godendo di una meteorologia e di una ristorazione più gradevoli in altre regioni, desiderano curarsi, fare imprese, viaggiare, dedicarsi al volontariato e andare a scuola in Lombardia. Chi non crede neanche a questo faccia un viaggetto in treno sulla Viterbo-Roma (e poi provi una linea delle Trenord) oppure veda come aprire una impresa in Campania (e poi faccia la stessa cosa a Milano).

Però resta il fatto che la leadership lombarda può non piacere. Bene, ci sono le elezioni, c’è il dibattito pubblico, c’è la difformità di vedute garantita antropologicamente prima ancora che costituzionalmente. Ma quando la diversità di opinioni e la preferenza politica usano strumenti che intervengono obliquamente nella libera discussione pubblica per condizionarla in modo scorretto e violento c’è da preoccuparsi. Un grande quotidiano e un ex grande settimanale sono in questo particolarmente accaniti. Pubblicano a ripetizione “inchieste” che verrebbero respinte per inconsistenza persino nelle scuole di giornalismo e stampano stralci di documenti giudiziari di procedimenti in corso che non solo non dovrebbero diffondere ma nemmeno avere tra le mani (i magistrati che violano la propria deontologia per una volta lasciamoli stare, ma questi sono gli stessi giornalisti e direttori che dichiarano amore per il giornalismo anglosassone, il quale purtroppo resta sideralmente lontano dal nostro).

In questi anni abbiamo imparato che certe indagini della magistratura sapientemente centellinate sui media servono a distruggere le carriere, ma non a condannare il colpevole (si veda il caso Del Turco). Alla fine in troppe occasioni si scopre che il reato non c’è o non è stato commesso. Ma l’esperienza non è servita da correttivo. Le logiche sottobanco sono rimaste tragicamente le stesse, imperterrite da venti anni. Tutta la nostra vita civile ne soffre tremendamente, ma c’è gente cui ciò non importa, perché quel che interessa davvero non è l’agire, ma il potere. Non quel che accade, ma quel che si progetta. Eppure nel mondo de-ideologizzato di questa fase storica, una politica la si deve giudicare dai fatti: fatti buoni sono l’indizio di una buona politica.

È del tutto lecito che qualcuno voglia cambiare una politica, pur buona: sarà convinto di avere idee e pratiche migliori e dunque avanti, il campo è aperto per una battaglia trasparente, combattuta ad armi pari e brandendo ragioni obiettive. Sono le battaglie che i nemici della democrazia non amano.

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