Il volto crudele della crisi

In Spagna lo scorso fine settimana sono tornati a manifestare gli indignados. La crisi nel frattempo appare più grave di un anno fa. Il commento di FERNANDO DE HARO

Pochi minuti dopo le 5, all’alba di domenica 13 maggio. La polizia, che ha aspettato pazientemente che finisse la manifestazione di Puerta del Sol, ha impedito a decine di “indignados” rimasti in piazza di accamparsi. Alcuni volevano ripetere la prodezza dell’anno scorso, quando erano diventati il punto di riferimento per tutti gli scontenti del mondo occidentale, gli ispiratori di “occupy Wall Street”.

Un anno dopo, le manifestazioni sono state molto numerose. Ma gli ordini ricevuti dalla polizia sono stati più precisi e si è evitata la “occupazione”. Un anno dopo, con il centrodestra al governo, la strumentalizzazione ideologica è più evidente. Ma un anno dopo la crisi, almeno in Spagna, si è mostrata più chiaramente e in maniera dura, quasi crudele. Ed è ormai evidente che l’Europa non è all’altezza e che le critiche al sistema economico e politico non possono essere prese alla leggera.

Le manifestazioni degli indignati sono coincise con l’approvazione della seconda manovra finanziaria del governo Rajoy e con la pubblicazione delle previsioni di primavera della Commissione europea. Il nuovo sforzo per sanare i conti delle banche ha messo in luce le cifre della bolla immobiliare. È inevitabile arrabbiarsi quando si scopre che ci sono 134 miliardi di euro di asset tossici: sono prestiti bancari ai promotori immobiliari che non saranno rimborsati. Causa molto dolore vedere le conseguenze di un insano modello economico di speculazione immobiliare, cui abbiamo partecipato quasi tutti, che ha corroso le istituzioni finanziarie, che richiede maggiore emissione di debito e che né questo, né il precedente governo hanno risolto per tempo.

Provoca molta inquietudine conoscere le previsioni di Bruxelles e ascoltare la Merkel proporre come unico rimedio l’austerità fiscale. Secondo la Commissione europea, la Spagna non crescerà quest’anno e lo farà molto poco nel 2013. Il tasso di disoccupazione raggiungerà il 25% e il deficit/Pil supererà il 6% nel 2012 e nel 2013. Questo vuol dire che i tagli fatti finora sono assolutamente insufficienti.

Abbiamo vissuto oltre le nostre possibilità e dobbiamo cambiare seriamente strada. Ma la “cura Merkel” è un suicidio. Il cancelliere tedesco ora dice che al vertice europeo di fine maggio arriveranno proposte per promuovere la crescita e che è disposto ad avvicinarsi a Hollande. Questa “scommessa” per la crescita sembra poca cosa: utilizzare i fondi strutturali per aiutare le Pmi. L’Europa e la Spagna hanno bisogno di soluzioni molto più drastiche: un nuovo Piano Marshall, tassi di interesse negativi (anche se questo significa più inflazione) e una Bce che compri debito senza limiti.

È inevitabile sentirsi insicuri data la mancanza di statura dei nostri leader europei. Come è anche normale sentirsi infastiditi dalla partitocrazia che domina il panorama politico. Da questo quotidiano rimbalzarsi le colpe tra una parte e l’altra, senza il proposito sincero di unire gli sforzi e di arrivare a un accordo che sia all’altezza delle circostanze che bisogna affrontare.

Queste e altre sono le ragioni per sentirsi indignati. Ma l’indignazione, una parola che in spagnolo significa “ira veemente contro qualcuno o qualcosa”, è un sentimento debole o incompleto. È passivo, sottolinea la rabbia o la violenza per il male causato da altri. E, senza dubbio, lo diciamo ancora una volta, ci sono molti che hanno fatto molto male. Ma dare solamente la colpa agli altri non basta. Qualsiasi movimento che in questo momento difficilissimo non riconosca ed evidenzi il valore del cambiamento che è possibile nella persona, nell’io, nelle comunità che nascono dal basso, che non generi una risposta positiva e costruttiva – questa è la responsabilità -, rafforza l’umiliazione.

È degradante rifugiarsi nella denuncia e nella rassegnazione, o persino nella violenza. In questi tempi di crisi, il potere contro cui protestano gli indignati tende a sminuire il valore dell’io. Per non essere sottomessi a questo potere è necessario costruire incessantemente le fondamenta della persona. Solo quando il fastidio, la rabbia o il disagio sono occasioni di recupare il protagonismo della persona nella costruzione sociale, nella creazione di occupazione, nello sviluppo di opportunità, nell’attenzione all’altro attraverso la carità, in un’articolazione dei corpi intermedi che metta in discussione l’eccessivo protagonismo dei partiti, allora si resiste alla corrente che porta tutto via, si costruisce la gioia. E l’io, è necessario dirlo senza complessi, è una sete di significato, il desiderio del Mistero.

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