Crisi, una via d’uscita

Barack Obama e Francois Hollande sono visti come leader della sinistra, ma nell’ultimo vertice del G-8 hanno lanciato una proposta interessante per l’Europa

Definire Obama e Hollande leader della sinistra è un anacronismo. Un po’ come utilizzare gli schemi mentali del Medioevo per spiegare la composizione dell’Assemblea nazionale durante la Rivoluzione francese. Ma per una volta siamo anacronistici e riconosciamo che, nonostante il grande pericolo che rappresentano, in qualcosa hanno pure ragione.

Obama può causare molti danni agli Stati Uniti nei mesi che ancora rimangono di campagna elettorale. L’attuale presidente era arrivato alla Casa Bianca come un candidato post-ideologico, qualcuno che era oltre la destra e la sinistra, oltre il conflitto razziale, un uomo che superava la tradizionale lotta dei neri per il riconoscimento dei diritti civili. Quattro anni fa si era presentato come una figura trasversale che in realtà si limitava a raccogliere la stanchezza e il rifiuto causati dagli errori commessi da Bush. Ma l’Obama delle ultime settimane ha poco a che fare con quello del 2008. Il profilo più radicale che aveva già mostrato il suo confronto con la Chiesa cattolica oggi appare in modo più chiaro.

L’inizio della campagna è fondamentale. In palio c’è il voto non schierato né con i Repubblicani, né con i Democratici, che rappresenta il 30% dell’elettorato. E in queste prime settimane si possono dire molte cose. Per questo Obama ha premuto sull’acceleratore. La sua strategia finora si è basata sul costruire un’immagine molto negativa di Mitt Romney, accusandolo di essere un uomo d’affari avido e distruttore di posti di lavoro, e sul suo impegno in favore del matrimonio gay. Obama utilizza la polarizzazione, giustamente criticata dal popolo del Tea Party, come strumento elettorale. Mettendo così in pericolo la tradizione di un Paese in cui il consenso è parte del proprio Dna costituzionale. Definire un candidato di sinistra una persona del genere è pura convenzione: in realtà, è un radicale.

Come lo è sicuramente anche Hollande. Il nuovo Presidente della Repubblica francese non passerà alla storia per aver alzato le tasse ai ricchi, cosa che è davvero irrilevante. Se questa misura verrà adottata, infatti, saranno pochissimi quelli che pagheranno il 75% promesso durante la campagna elettorale. Quello che sicuramente renderà celebre il Presidente francese sono le misure come quelle prese a suo tempo da Zapatero. Vedremo cosa succederà, per esempio, riguardo l’eutanasia.

Alcuni vedono nella nomina a primo ministro di Jean-Marc Ayrault, educato nel cattolicesimo e leader di organizzazioni operaie cristiane, la possibilità che il suo radicalismo possa essere moderato. A questo proposito c’è da dire che anche Biden è stato il vicepresidente cattolico di Obama, senza che questo sia servito a determinare in alcun modo la politica del Presidente.

Questi due politici di sinistra (continuiamo a definirli così) sono una minaccia per diversi aspetti. Ma bisogna riconoscere che nel G-8 dello scorso fine settimana a Camp David hanno lanciato un messaggio sensato: dalla crisi si esce con politiche che sostengono la crescita. Ora anche la Merkel si dice pronta a sostenere questa formula. Ma quando il cancelliere tedesco parla di crescita lo fa “alla tedesca”, pensando di destinare, con l’occasione del prossimo vertice Ue di fine giugno, i fondi strutturali inutilizzati per aiutare le Pmi. Questa soluzione è però del tutto insufficiente.

L’unica politica di crescita che finora ha funzionato è quella degli Stati Uniti, messa in moto dall’Amministrazione Obama, basata principalmente sulle decisioni monetarie. La Federal Reserve ha pompato denaro nel sistema senza il timore dell’inflazione. Non c’è altra soluzione per l’Europa che un taglio dei tassi: costo del denaro più basso per favorire gli investimenti. Ma questo significa confrontarsi con i pensionati tedeschi, che sono molto parsimoniosi e non vogliono che si svaluti quello che hanno risparmiato finora. Non si rendono conto che la Germania, che esporta il 70% dei suoi prodotti verso l’Unione europea, con questa politica sta impiccando l’euro e se stessa. Servono denaro a basso costo, acquisto dei titoli di stato senza limiti da parte della Banca centrale europea e un nuovo Piano Marshall per il Vecchio Continente.

La Spagna, quando avrà portato a termine i tagli programmati, avrà ancora un deficit strutturale pari al 2% del Pil. Bisogna cambiare modello economico per tornare a crescere come prima e per questo servono investimenti nei settori realmente competitivi. Abbiamo speso male le risorse giunte con l’euro nella speculazione del mattone, ma senza denaro non possiamo cambiare. E lo stesso succede nel resto d’Europa: senza credito diventerà ancora più irrilevante di quello che già è, in un mondo sempre più dominato dall’asse Asia-Pacifico.

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