Il virus della superficialità

Abbiamo bisogno di anticorpi. Non solo e non tanto contro l’influenza che serpeggia d’inverno, ma soprattutto contro il virus della superficialità. L'editoriale di PIGI COLOGNESI

Abbiamo bisogno di anticorpi. Non solo e non tanto contro l’influenza che serpeggia d’inverno, ma soprattutto contro il virus della superficialità, della disattenzione sistematica alla nostra profondità, della opacità distratta con cui attraversiamo il tempo della giornata. Virus abbondantemente nutrito dalla variopinta inconsistenza dei messaggi da cui siamo subissati, dal rumore di fondo che impedisce ogni seria concentrazione, dal sovrapporsi incessante di immagini piatte.

Abbiamo bisogno di anticorpi e la data ti oggi ne suggerisce uno. Proprio il 7 gennaio 1895 nasceva a Bucarest Clara Haskil. Forse la maggior parte dei miei lettori potrebbe mazonianamente chiedersi: «Chi era costei?». Basti citare quello che ha detto Charlie Chaplin: «In vita mia ho conosciuto soltanto tre geni: Einstein, Churchill e Clara Haskil». È un precocissimo talento pianistico; fin da bambina è mandata a studiare nelle principali capitali europee presso i più prestigiosi maestri dell’epoca. A quattordici anni vince il concorso di piano al Conservatorio di Parigi e inizia a dare qualche concerto. 

Sembra indirizzata ad una folgorante carriera, ma tutti i progetti vengono sconvolti dallo scoppio della prima guerra mondiale e, soprattutto, dal manifestarsi di una scoliosi deformante, che la costringe a lunghi periodi di inattività. Per di più Clara ha un vero e proprio terrore del palcoscenico, è morbosamente timida e perennemente insoddisfatta delle sue prestazioni. Altre difficoltà le impediscono di esprimersi a pieno anche nei decenni successivi e la seconda guerra mondiale la costringe, in quanto ebrea, a rifugiarsi in Svizzera. La salute ha un ulteriore crollo: è minacciata da un tumore al nervo ottico e si deve sottoporre ad una lunga operazione che viene fatta con anestesia locale; per tutto il tempo dell’intervento, al fine di assicurarsi di non perdere nessuna delle sue facoltà, «suona» sul tavolo operatorio un concerto dell’amatissimo Mozart. Il successo internazionale arriva solo quando Clara ha più di cinquant’anni, al termine del conflitto, e durerà fino alla morte, avvenuta nel 1960.

Chi ha assistito a qualche suo concerto descrive il lentissimo ingresso sul palcoscenico di una donnetta anziana, piegata dalla scoliosi, che si sarebbe detto non in grado di raggiungere il pianoforte. Ma appena poneva le mani sulla tastiera ci si accorgeva di essere di fronte ad una eccezionale interprete. Eccolo l’antidoto alla superficialità: Clara Haskil si immedesimava con la musica che stava suonando, si coinvolgeva fino al punto di scoprire la profondità dell’umanità triste o lieta, drammaticamente tesa o solennemente esultante, sempre carica di desiderio, che ogni grande musica porta con sé. 

E questa sua intima partecipazione diventa un invito alla profondità anche per chi l’ascolta. Ce ne si può facilmente rendere conto, per esempio, di fronte alla sua esecuzione del concerto K 466 di Mozart: la tecnica impeccabile non è fine a se stessa, ma costituisce un rimando all’esplorazione sempre più approfondita del misterioso fascino di quella musica sublime.

Viene da chiedersi quanto le sofferenze che la vita le ha riservato siano state necessarie per attingere ad un livello così affascinante di profondità. Comunque sia, anche noi ogni giorno abbiamo di fronte lo spartito degli avvenimenti che si susseguono; li possiamo guardare con distaccata superficialità oppure con la drammatica partecipazione propria del genio. E del bambino.

 

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