Il cuore della giustizia

In Spagna le decisioni sui terroristi dell’Eta fanno discutere. Ma ascoltando le parole dei famigliari delle vittime si può capire qualcosa di più sulla giustizia, spiega FERNANDO DE HARO

Domenica scorsa decine di migliaia di persone sono scese in strada a Madrid per manifestare a sostegno delle vittime del terrorismo, criticando la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha reso inefficace la “dottrina Parot”, che ha fatto sì che ai condannati per terrorismo non fosse ridotta in maniera significativa la propria pena (dopo la sentenza della Corte suprema spagnola del 2006, infatti, lo sconto della pena non viene calcolato sul limite massimo della stessa stabilito dal Codice penale (30 anni), ma sulla totalità delle pene inflitte in giudizio; tra l’altro, con efficacia retroattiva, ndr).

La protesta contro il Tribunale di Strasburgo è legittima. Finora, infatti, questo organo si era pronunciato sulle pene inflitte, ma non sul modo in cui vengono applicate. E l’unica spiegazione per questo cambio di atteggiamento è data dal fatto che il giudice che rappresenta la Spagna è socialista ed è stato membro del Governo Zapatero. Di fatto ci troviamo di fronte a una vittoria postuma dell’ex Premier, che nel suo negoziato con l’Eta aveva garantito proprio l’abolizione della dottrina Parot.

La decisione di Strasburgo rende più difficile la fine del terrorismo. Tutto sta accadendo rapidamente rispetto a quanto sarebbe auspicabile: le persone vicine all’Eta hanno potuto far politica troppo presto, si presentano come vincitori, non si pentono e ora i terroristi escono dal carcere.

“Presto o tardi questo momento sarebbe arrivato”, dice una persona che ha partecipato a uno degli incontri promossi dal governo basco tra i famigliari delle vittime e i terroristi pentiti. La sua testimonianza, insieme ad altre, è stata raccolta nel libro “Gli occhi dell’altro”. Val la pena ascoltare queste persone. La loro testimonianza può essere un aiuto per coloro che hanno sofferto tanto e per tutta la società spagnola. Segna un orizzonte ideale che non si può imporre, ma che è molto auspicabile. In quelle parole si avverte l’inconfondibile aria di libertà di una grande esperienza umana.

E cosa dicono questi famigliari delle vittime? Alcuni sono molti chiari e spiegano che il passato non tornerà, che non vogliono restare incatenati al male che gli ha portato via le persone care, che il perdono li ha liberati, che vogliono ricostruirsi una vita e che gli altri, i terroristi, hanno lo stesso diritto. Ascoltandoli si capisce di che stoffa è fatto il cuore umano. L’esigenza di giustizia è talmente radicata in loro, così come in noi, che non c’è un rimedio, come la condanna dei colpevoli, che possa soddisfarla.

In queste persone brilla in modo speciale questa intuizione che è universale: il desiderio di giustizia è fatto della stessa materia dell’infinito. Smette di essere una tortura quando, in un modo o nell’altro, si apre all’affermazione della vita. Sicuramente è più corretto scrivere la parola con la maiuscola: Vita.

Queste persone, con questo loro passo in avanti, sostengono il peso del mondo e ci segnalano, con la più grande discrezione, che il dolore non è l’ultima parola.

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