Baby squillo, e il padre dov’è?

GIUSEPPE FRANGI, analizzando lo scandalo delle baby prostitute, si domanda dove siano i padri di queste ragazze, figure che sembrano quasi sparire, eclissate dal contesto famigliare

Mi chiedevo leggendo in questi giorni le cronache dei casi delle baby prostitute dove siano finiti i padri di quelle ragazze. Quando compare una figura adulta è sempre quella della madre, che sia colei che denuncia, o che sia addirittura la mandante. E i padri? Sembrano figure sparite. Eclissate dalla scena di quelle famiglie. È vero, che per quanto siano inquietanti, questi casi rappresentano un’eccezione patologica, e non sono né una tendenza (come invece si evince a volte leggendo le cronache sui giornali) né tanto meno una regola. Eppure per quella drammatica inerzia che caratterizza queste storie e le porta su un piano inclinato dove nulla fa più problema e dove nulla è oltre il lecito, queste storie sono emblematiche. Tra i fattori emblematici credo ci sia proprio questa assenza dei padri. È un fattore che è stato sottolineato giustamente da Matteo Lancini, docente di psicologia della Bicocca di Milano, con un intervento pubblicato qualche giorno fa dal Corriere della Sera. Lancini parlava di madri “acrobate” che nel bene e a volte anche nel male riescono a coprire più ruoli, compensando quel vuoto lasciato dalla figura maschile. Che ne è allora del padre? Per uno come il sottoscritto che ha sempre tenuto a riferimento le meravigliose pagine che Charles Péguy dedica alla figura paterna, eroe nella modernità (le potete rileggere in Véronique, stupendo libro ora ripubblicato da Marietti 1820). “C’è solo un avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia”, scriveva Péguy. Ma poi avvertiva: “Tutto è sapientemente organizzato contro di lui…gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche”. Il padre è colui che deve navigare controcorrente, che deve mettere la testa ma soprattutto le spalle per “risalire tutte le correnti”. Ed è “anche assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi a priori, di sapre in che città domani…in quale decadenza di tutto un popolo lascerà consegnerà…quei bambini di cui è, si sente così assolutamente responsabile”. Non avevo mai capito così pienamente, come oggi, il contenuto profetico di queste pagine di Péguy: lette risuonano come l’avvertimento di una minaccia, di una possibile sconfitta. Oggi le cose sembrano fatalisticamente essersi realizzate, al punto che anche i nomi vengono usurpati, e padre diventa un po’ orwelianamente “genitore 1”, o forse “genitore 2” (sulla base di un’ossesione nominalistica che non saprei se è più ridicola o più inquietante). Eppure, anche in questi frangenti in cui il passato sembra perduto e le sue figure tramontate, la vita lascia trapelare un possibile nuovo. In questo caso un nuovo volto dell’essere padre.

È quello che racconta un altro bellissimo libro (non a caso un best seller: quella sulla figura del padre è una domanda urgente e reale) uscito pochi mesi fa, Il complesso di Telemaco. Un lbro che ha questo sottotitolo: “Genitori e figli dopo il tramonto del padre”. Scrive Massimo Recalcati, il suo autore: “Telemaco cerca il padre non come un rivale con il quale battersi, ma come un augurio, una speranza, come la possibilità di riportare la Legge sulla propria terra…Telemaco potrà ritrovare il proprio padre solo nelle spoglie di un migrante senza patria”. In gioco qunindi non c’è affatto una domanda di restaurazione della sovranità smarrita del padre-padrone. Non c’è una domanda di potere e di disciplina, ma di testimonianza. “Sulla scena non ci sono più padri-padroni”, scrive Recalcati, “ma solo la necessità di padri-testimoni di passioni capaci di testimoniare, appunto, come si possa stare in questo mondo con desiderio e, al tempo stesso, con responsabilità”. Non a caso Telemaco aspettava un uomo, che come quello di Péguy, aveva navigato contro tutte le correnti…

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