Nebbia e crisi, chi ci guida?

PIGI COLOGNESI racconta le giornate di nebbia in val Padana. Il nebbione come un muro grigiastro che offusca tutto, proprio come la crisi che continua ad attanagliarci

Giornate di gran nebbione da noi in val Padana. Si aprono le imposte al mattino e, invece della solita facciata del palazzo di fronte, si vede un muro grigiastro che smangia tutti i contorni; le finestre accese di fronte sono come la luce di fari smorti che galleggia sperduta in un mare senza riferimenti. Poi, di solito, il calore del sole e dei riscaldamenti riesce, almeno in città, a diradare la coltre nebbiosa; ma ci sono giornate in cui è questa a vincere la battaglia e allora, percorrendo il solito viale, si guardano gli alberi e non si vede dove in alto finiscono: semplicemente scompaiono ad un certo punto, confondendosi col grigio della nebbia; e l’autobus atteso, che di solito si vedeva spuntare da una curva lontana, ora ti sbuca quasi improvvisamente davanti. Dopo il tramonto, poi, la nebbia diventa comunque padrona assoluta e se capita di dover guidare per qualche strada secondaria e sconosciuta son dolori. Le strisce per terra si scorgono a malapena, la luce dei lampioni, quando c’è, serve a pochissimo tanto appare lontana, le curve si vedono all’ultimo momento, così come chi arriva dall’altra parte, annunciato solo dai suoi fari sbiaditi. Bisogna stare molto attenti, ridurre la velocità e cavarsi gli occhi per rubare alla nebbia tutti i segnali che lei vorrebbe nascondere.

Si potrebbe forse dire che la famosa “crisi” – oramai analizzata in tutti i suoi aspetti e interpretata in tutte le sue sfaccettature – è come la nebbia persistente di questi giorni, che non se nel vuole andare. Così succede che viaggi che prima si facevano speditamente sono diventati estremamente laboriosi. Come attraversare piazzale Loreto a Milano: già non è facile in condizioni normali, visto che si tratta di uno snodo importante della città, poi sotto Natale il traffico aumenta di per sé, se poi capita, come l’altro giorno, che ci siano quelli dei forconi che impediscono l’accesso, può succedere che per fare trecento metri ci si impieghi un’ora. Ogni giorno leggiamo o sentiamo di gente che ha perso il lavoro, di aziende che boccheggiano, di problemi mai avuti per fare la spesa e sbarcare il lunario. È cambiato il paesaggio e ci si deve muovere con molta più prudenza e attenzione perché c’è nebbia e il pericolo di sbagliare strada o uscirne finendo in un fosso è molto più incombente.

In queste condizioni non giova che intorno a noi tanti si mettano a gridare per segnalare pericoli, per lamentarsi delle difficoltà, per accusare questo o quello delle cattive condizioni atmosferiche. È invece purtroppo questo il clima che si respira aprendo i giornali (di carta o telematici): sembrano come quei passeggeri della nostra macchina che, mentre noi stiamo guidando faticosamente nella nebbia, ci stordiscono in continuazione, magari litigando tra di loro su cosa si dovrebbe fare, urlando le proprie convinzioni e prendendosela con chi ne ha di diverse. Quello che servirebbe, invece, è che tutti stessero…

Silenziosamente testi a guardar bene fuori dall’abitacolo per scorgere le strisce che segnano una curva o un ostacolo che si para davanti e, soprattutto, se non compaia il sospirato cartello che indica la meta cui si è diretti. Guidare nella nebbia richiede una particolarissima attenzione, una tensione che non si adagi, una rinnovata perspicacia. Tutte operazioni che vengono distratte dalla caciara dei soloni improvvisati e dei lamentosi permanenti. Ci è amico solo chi ci sostiene discretamente e pacatamente in quella necessaria tensione. Finché la nebbia si diraderà.

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