La realtà che ci manca

Davvero il secolo trascorso è stato il secolo della mente: le idee, i valori, la logica hanno costruito le premesse di tutto. E spesso il cristianesimo ne è stato vittima. FEDERICO PICHETTO

C’è un male oscuro che attraversa il nostro tempo e impedisce alla nostra vita di essere un cammino. Questo male non è un prodotto del “secolo” o l’esito del nostro sistema economico: esso sorge con l’uomo e vive in ogni uomo. 

In tal senso il libro più decisivo dell’Antico Testamento si chiama Genesi. Il suo nome è molto significativo perché vuol dire “origine”: la Genesi descrive le origini di ciò che siamo e di ciò che viviamo. Ebbene, nel libro della Genesi, questo male oscuro è raccontato attraverso una storia in cui il primo uomo, Adamo, e la prima donna, Eva, non si fidano di Dio, ma soltanto di se stessi. Questa sfiducia non riguarda tanto la divinità in se stessa, ma ha che fare con quella che noi chiamiamo realtà: Adamo non si fida di Dio perché non si fida della realtà. 

Il vero problema educativo, in ogni epoca, è quindi questo: che ri-accada il rapporto tra l’uomo e la realtà, che l’uomo permetta alla realtà di incontrarlo e di metterlo in discussione fino a vincere quell’ottusa sfiducia verso ciò che è altro da noi, sfiducia che ci rende prigionieri di noi stessi, della nostra mente. Davvero il secolo trascorso è stato il secolo della mente: le idee, i valori, la logica hanno costruito le premesse di ogni filosofia e le convinzioni di tutta politica. 

Anche il cristianesimo moderno è rimasto vittima di un processo che ha ridotto il cuore dell’annuncio – ossia il fatto di Cristo – a un discorso, a una visione del mondo, ad una mentalità. Ma una fede così non serve proprio a niente. Essa infatti crolla di fronte al dolore, annaspa di fronte all’amore e si prostituisce dinnanzi al male, finendo per giustificarlo o per biasimarlo con un’inquietante irruenza. Ciò che non regge di fronte al dolore, al male e all’amore non può diventare la speranza e la certezza della vita. Il cristianesimo moderno è davvero tenuto in ostaggio dalla mente, è davvero assimilato ad ogni cultura precedente e, pertanto, è davvero svuotato della propria carica sovversiva.

Eppure, se ci guardiamo indietro, il novecento ha osannato il corpo, lo ha quasi idolatrato. Questo è vero, ma il corpo di cui parliamo si è ridotto semplicemente a occasione di piacere o, al più, a strumento per il possesso. In questo modo perfino la sessualità, intimo incontro di un Io con un altro Io, è divenuta banalmente una masturbazione assistita. Tutto è stato ricondotto ad un capriccio e la mente è diventata la padrona e il criterio di ogni momento: ciò che conta e ciò che vale è quindi quello che già so, è quello che già capisco. 

Invece, fuori del nostro pensiero c’è un mondo, c’è la realtà. E c’è l’esperienza. Essa altro non è che l’incontro tra ciò che è dato dentro di me, il mio cuore, e ciò che è dato fuori di me, l’altro, l’oltre. 

Il nostro male, il nostro peccato originale, si annida nella sfiducia che noi proviamo per la realtà, per l’esperienza, per cui tutto, dal nostro matrimonio alle nostre amicizie − tutto − si risolve nel circuito della nostra mente. La cosa veramente drammatica sta proprio nel fatto che alla fine di ogni giornata spesso andiamo a letto senza avere imparato niente. E, se ci guardiamo indietro, pensiamo le stesse identiche cose di un anno fa. 

Il risultato di tutto ciò è sotto gli occhi di tutti: quasi nessuno di noi ama di più di quanto amava un anno fa. Quasi nessuno ama di più la propria vita, il proprio corpo, il proprio male, i propri amici. Quasi nessuno sa perdonare di più, sa costruire di più la pace, abbattere i muri, ridurre i silenzi. Insomma: siamo degli schiavi, non siamo liberi. 

E infatti diventiamo permalosi non appena qualcuno non ci conferma, restiamo sudditi dei nostri pregiudizi e dei nostri bronci, continuiamo a non parlarci davvero e a fare fuori i pezzi del nostro passato. Tuttavia, per grazia, non tutti sono così. Davanti a noi si stagliano ancora presenze nuove: il bambino che domanda, l’amico che si sorprende, il padre che improvvisamente cambia e inizia a sorridere. 

Lo abbiamo visto durante la Colletta Alimentare, lo vediamo tutti i giorni dentro il marasma della storia: basta un Io che si lasci davvero muovere dalla realtà e Adamo diventa soltanto un ricordo. Al suo posto − infatti − c’è un’umanità nuova, c’è Maria. La donna che ha permesso alla realtà di cambiarla e di metterla in discussione. La donna che si è fidata dell’esperienza, che l’ha seguita fino in fondo. È il cuore di quella donna che a noi manca. Il cuore che ognuno di noi deve, e può, cominciare a chiedere. Non di certo per essere più bravi, ma per permettere ad un Altro di venirci a prendere.

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