La promessa di maggio

Arriva il mese di maggio. Arriva il mese delle rose, il mese dei fiori. Maggio, ci spiega però PIGI COLOGNESI, è anche il mese della Madonna. E in molti si chiedono il perché.

Arriva il mese di maggio. Arriva il mese delle rose, il mese dei fiori. Ci vorrebbe, però, che quella rosa, che si dischiude prepotentemente tra una foglia e una spina, non appassisse mai. Ci vorrebbe che i fiori, che improvvisamente colorano i rami del viale solitamente grigio o che dipingono un angolo dello spartitraffico e del parchetto sotto casa, non smettessero mai di fiorire. Che non facessero come le camelie del mio piccolo giardino: sbocciate in fretta e furia dopo il lungo gelo, non hanno quasi avuto il tempo di aprirsi che successivi acquazzoni e il loro stesso peso le hanno staccate dal ramo e buttate per terra; dove restano sì come suggestiva macchia di colore, che però si degrada e marcisce.

E ciò che vale per i fiori meglio ancora s’addice a cose ben più importanti che maggio promette. Ci vorrebbe che quella leggera aria di festa, per cui si sta volentieri in giro e magari si salutano pesino le persone che si incontrano, durasse indefinitamente. Ci vorrebbe che la passione circolante nel corpo non naufragasse nel volatile appagamento dell’istinto, ma aprisse a quella cosa così misteriosa e desiderata che tutte le canzoni di maggio chiamano “amore”. Ci vorrebbe – per stare alla cronaca politica – che l’aura di concordia che ha cominciato a circolare dopo mesi di reciproci insulti e delegittimazioni producesse forme stabili di costruttività. Maggio è una promessa e ci vorrebbe proprio che sia mantenuta.

Maggio è anche il mese della Madonna e ci si chiede il perché. I sapientoni diranno che i soliti cattolici si sono appropriati dei miti pagani – in questo caso quello della Madre Terra e della sua ciclicamente ritornante fecondità – e li hanno indebitamente battezzati. A parte il fatto che non ci sarebbe niente di male nell’accogliere, correggere e valorizzare tutto quello che si incontra, credo che maggio sia, invece, il mese della Madonna perché in lei si è realizzata la più inaudita delle promesse: la salvezza della nostra umanità. Ma come facciamo a sapere che la promessa è stata ed è mantenuta? Guardiamo ai fatti, risponde Manzoni nel suo inno sacro Il nome di Maria.

 C’è una giovane donna, sposa di uno sconosciuto fabbro di un paese sperduto della remota provincia romana che osa esclamare: «Tutte le genti mi chiameran beata». Chi non l’avrebbe schernita? Chi non avrebbe ritenuto folle questo pronostico fatto da una povera ragazza? I più clementi avrebbero parlato di sogno e i più cinici di farneticazione. Ma il loro sarebbe stato un «antiveder bugiardo», una previsione menzognera. Infatti, dice Manzoni, dopo mille e ottocento anni – e aggiungiamoci pure il secolo e mezzo che è trascorso da quando l’inno fu composto -, noi siamo qui ad avverare quella previsione: «A noi solenne è il nome tuo, Maria».

Quel «ci vorrebbe» che il mese di maggio insistentemente suggerisce non è più solo un sogno travolto dall’afa estiva, dal declino autunnale e dal gelo d’inverno. Il fiore che è «germinato» dal «ventre» di quella ragazza continua a fiorire senza mai appassire; è la «candida rosa» che Dante contempla al termine del suo viaggio. I suoi petali sono i beati, tutti quelli cioè che – nonostante le apparenze contrarie – sono rimasti fedeli alla promessa di maggio.

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