La Spagna ha paura di Rimini

Perché l'esperienza del Meeting non fa presa in Spagna? Risponde FERNANDO DE HARO: perché il Meeting non corrisponde a un progetto politico né a quello di una lobby

Il Meeting di Rimini, che ha chiuso la sua trentaquattresima edizione sabato scorso, malgrado la sua importanza quantitativa (700.000 presenze ogni anno) e qualitativa ( uno degli incontri culturali più importanti in Europa), è un fenomeno poco conosciuto in Spagna. A suo tempo, lo visitarono sia l’ex presidente Aznar che il suo ex ministro Mayor Oreja, come lo visitò nella veste di relatore il direttore di El Mundo, Pedro J. Ramírez, ma si trattò di contatti superficiali. E’ stata invece più sistematica la partecipazione del Cardinale Rouco, che lo conosce bene. A parte queste e poche altre eccezioni, l’ignoranza è generale, e forse non del tutto casuale.

In realtà ci furono due momenti nei quali degli spagnoli trovarono un certo interesse in questa iniziativa di Comunione e Liberazione; le ragioni per le quali in seguito cadde questo interesse dicono molto. Uno degli interessati fu Martín Patino, che coprì per El País diverse giornate, a metà degli anni ’80. Gli articoli di Patino di quegli anni sono pieni di sorpresa, ma la sua curiosità originava soprattutto dal timore che potesse essere esportato in Spagna, attraverso CL, il modello Democrazia Cristiana. Non a caso, Patino, segretario del Cardinale Tarancon (Arcivescovo di Madrid), lottò con tutte le sue forze perché i cattolici, dopo il franchismo, non costituissero in Spagna un proprio partito.

Il secondo caso, più discreto, risale all’epoca di Zapatero. Alcuni dei nuovi movimenti di mobilitazione contro la politica radicale cercarono a Rimini la ispirazione e un modello per una forma di presenza cattolica incisiva. Tornarono entusiasti, ma il tentativo di replica non funzionò.

Da un lato, era logico il timore della sinistra per un progetto di teologia politica che avrebbe potuto far rivivere formule superate con la fine del franchismo, dall’altro, era normale che la destra tentasse di individuare idee e progetti ai quali ispirarsi per difendere decisamente i valori che la secolarizzazione statale stava distruggendo. L’interesse, tuttavia, è sparito con il tempo, perché il Meeting di Rimini non risponde a un progetto politico, né si costituisce come una lobby. Non era, cioè, né una minaccia, né una ispirazione.

Il Meeting di Rimini non può essere inquadrato in uno schema ideologico, tuttavia proprio la sua complessità può renderlo particolarmente interessante per un Paese come la Spagna, dove i laici rabbrividiscono quando vedono cattolici uniti nell’affrontare un problema pubblico, un rimando reale o artificioso al periodo della dittatura. E dove i cattolici , troppo spesso, si rifugiano nel tempio o tornano a sognare di progetti di egemonia. 

La sana complessità del Meeting, che gli permette di essere fedele al suo nome,  “luogo di incontro”, nasce da un cattolicesimo che si affida totalmente alla capacità della fede di riaccendere l’umano, di generare una esperienza nella quale l’altro, qualunque sia la sua religione o ideologia, può trasformarsi in un compagno nel cammino. Qualunque strategia è… infinitamente meno efficace e meno bella, meno vera, della potenza di una fede viva nelle sue dimensioni essenziali: carità, cultura e missione.

E’ logico che la gente diffidi di certi progetti, soprattutto in un Paese con la storia della Spagna. Da un compagno di strada leale, che affida tutto alla libertà e che non ha nulla da difendere, tuttavia, non vi ragione alcuna di difendersi.

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