Internet, dono di Dio: perché?

GIUSEPPE FRANGI e le parole, mai scontate e banali, di Papa Francesco su Internet, luogo di solidarietà e di possibilità d'incontro per un "io" che deve farsi "noi"

Non è mai scontato Papa Francesco, neanche nelle occasioni che possono sembrare più rituali e un po’ “dovute”. Ieri ad esempio, ha preso l’occasione del Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni sociali (che cade oggi, giorno di san Francesco di Sales), per proporre una riflessione che contiene tanti spunti “mobilitanti”. Uno spunto è quello sottolineato dai titoli dei lanci di agenzie e dei siti. “Internet” ha scritto il Papa, “può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio”. Che Internet sia dono di Dio prima che una conquista degli uomini è innanzitutto una prospettiva che aiuta a relativizzare tante mitologie contemporanee che così spesso guardano al progresso come ad un succedersi di belle favole. Il progresso invece è realisticamente una somma di intuizioni, di fatica e appunto di doni.



Il pensiero che Internet sia un dono di Dio ci porta poi ad avere una diversa considerazione sul nostro tempo. L’uomo d’oggi, per quanto goda delle conquiste del nostro tempo, ultimamente lo guarda con ostilità. Si pensa di vivere in un “cattivo tempo”. Si guarda con nostalgia a un tempo in cui “si stava meglio quando si stava peggio”. Il presente è una dimensione che sostanzialmente ci è nemica (“non pensate che un frifillio delle foglie sia il clichettio delle armi”, raccomandava proprio Francesco Saverio). Per Papa Francesco non è così: lui è amico del suo tempo e vede in ciò che il suo tempo offre sempre delle opportunità. È una predisposizione psicologica che rompe i blocchi e riserve e toglie ogni alibi rispetto al bene che ciascuno può fare. Il tempo che ci è dato è comunque e sempre buono. È un dono, anche se i conti non sembrano tornare, rispetto a quel che abbiamo messo sullo scaffale dei nostri sogni.



Ma un dono può anche essere buttato alle ortiche. E questo, per stare a Internet, accade, dice Francesco, quando la comunicazione si riduce a fenomeno di auto-conferma delle proprie idee e dei propri gusti. In sostanza rinnega il senso stesso della parola comunicazione, perché la trasforma in un circolo chiuso. Invece comunicazione è una dinamica aperta, tanto che il papa, per rendere bene l’idea, ricorre all’esempio del Buon Samaritano. “Chi comunica”, scrive Francesco, “si fa prossimo”; come dire, non c’è comunicazione cui non segua un coinvolgimento. E allora si scopre che il mondo digitale non è diverso da quello reale. Che le strade di Internet sono le strade del mondo. Che chi lo popola, a partire da noi stessi, è “un’umanità ferita: uomini e donne che cercano una salvezza e una speranza”. E si scopre che quell’umanità non attende messaggi pieni di effetti speciali e conditi di bei trucchi, ma messaggi che siano un “farsi prossimo”. Quindi aperti, capaci di dialogo, capaci di dare spazio ad altri punti di vista. La comunicazione non è un fenomeno monodirezionale, ma un incontro. E non necessariamente un incontro come quelli che mettiamo in agenda. Cioè previsto, voluto, cercato.



All’opposto per papa Francesco il pericolo sta nel permettere che i media diventino un muro tra noi e la realtà. Che il loro orizzonte diventi la dilatazione di un “io” che si costruisce il suo guscio e non incontra mai un “tu”. È allora che la comunicazione diventa un fenomeno patologico, per quanto perfetta possa essere. Invece Internet è un “dono” reale e non virtuale. E fare di quel dono un’alternativa o una fuga dalla concretezza della realtà, è un po’ come buttarlo alle ortiche.

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