Putin a Milano e i miracoli a Mosca

Se, come si dice, un paese ha i governanti che si merita, com'è la Russia che si esprime in Putin? All'autoritarismo e allo statalismo fanno da contrappeso diverse novità. MARTA DELL'ASTA

Si usa dire che un paese ha i governanti che si merita: lui li ha generati e loro esprimono il suo sentire profondo. Se è così, la Russia attuale dovrebbe identificarsi con Putin, con la sua politica interna ed estera.

E com’è la Russia che si esprime in Putin? A prima vista, un paese diviso tra le invenzioni e le fantasie di una propaganda senza pudore, e una realtà dal volto minaccioso e inquietante. Se poi si vanno a vedere le cose più da vicino, l’immagine cambia, e di molto.

Certo, le invenzioni sono sbalorditive, tali da far perdere la bussola. Eccone una presa a caso: il giornale Krasnojarskoe vremja in data 15 ottobre spara con tripudio la sensazionale notizia che la Ue ha deciso di non sottoscrivere più alcun accordo con l’Ucraina: “Ieri, durante la conferenza stampa a Berlino, il capo della Ue Jeff Nonberg ha annunciato che in seguito agli avvenimenti sconvolgenti accaduti di recente, la UE ha deciso di sospendere la firma dell’associazione economica con l’Ucraina”. Ma se poi andiamo a guardare, un Jeff Nonberg “capo della Ue” non esiste affatto e la notizia è presa dal blog di un europarlamentare socialdemocratico ceco, Stanislav Huml, che (in data 6 giugno!) ha scritto: “sogno che la Ue non sottoscriva l’accordo economico con l’Ucraina… ma poi mi sveglio”.

Un altro esempio ben più penoso riguarda la denuncia del ritrovamento di “fosse comuni con migliaia di cadaveri”, vittime degli ucraini di Kiev, notizia che è stata poi ritrattata dal primo vice-premier della Repubblica del Doneck, Andrej Purgin, il quale l’ha attribuita a un banale lapsus: “non ci siamo capiti”, ha detto, in realtà i corpi erano nove. 

L’altro polo della questione è una realtà minacciosa e inquietante, innanzitutto a livello sociale, con provvedimenti di cui i media russi e quelli occidentali parlano poco, ma che non sono meno reali. Quel che si vede è una nutrita serie di nuove leggi, di decreti ed emendamenti che stanno affossando la vita civile del paese, rifoggiando radicalmente la società. E non si tratta di scelte dettate dalla congiuntura di questi ultimi mesi, ma di un cammino intrapreso da anni, in base a una scelta culturale e politica che vuole riaffermare la  verticalità del potere, e riformulare in senso autoritario i rapporti tra cittadino e Stato. 

La politica interna del presidente Putin ha colpito l’indipendenza dell’informazione: chiudendo testate, licenziando, nazionalizzando, bloccando riviste online e tivù via cavo; c’è stato poi l’attacco contro ogni centro culturale autonomo, ad esempio con il taglio dei finanziamenti a tutti i musei dedicati alla storia del totalitarismo. 

È di questi giorni, poi, la richiesta del ministero della Giustizia di chiudere l’Associazione Memorial, alla quale sola si deve la conservazione della memoria delle vittime del totalitarismo sovietico. Questo attacco globale ha inoltre rafforzato le misure punitive con quelle “costruttive”, tutte ovviamente in senso statalista, come il testo di storia unico, o il varo della Progetto culturale di Stato (ideologia unica e vincolante per tutto il paese, teoria del carattere non europeo ma euro-asiatico della Russia, ecc.).

Poi ci sono tante altre misure che stanno distruggendo indiscriminatamente tutte le iniziative indipendenti che la gente è andata faticosamente costruendo negli ultimi anni: il taglio dei sussidi, ad esempio, costringe alla chiusura gli orfanotrofi, gli asili e gli istituti privati per bimbi con handicap. E poi c’è il declassamento di alcune gravi malattie sociali a malattie per le quali lo Stato non prevede sussidi, c’è il taglio dei posti letto nei migliori reparti di oncologia infantile, l’impossibilità di prescrivere cure palliative ai malati terminali che vivono in casa (in questi giorni è sotto processo la dottoressa Alevtina Chorinjak, colpevole di aver prescritto della morfina a un malato di cancro). In questa indifferenza, in questo disprezzo quasi “istituzionalizzato” per i bisogni della gente, da parte di uno Stato che preferisce il vuoto di assistenza all’iniziativa privata, sembra che non vi sia più spazio per la persona e per la sua libertà. Tra verità capovolte e illusioni di grandezza, gli elettori di Putin sembrano corrispondere in pieno al ritratto che ne aveva fatto nel 2011, epoca non sospetta, il sociologo russo Dubin: un popolo frammentato, chiuso in se stesso, rassegnato a non avere voce in capitolo.

Eppure, se si va a scavare nelle pieghe di questa società e si vanno a vedere le cose più a fondo, la realtà è ben diversa: a dispetto di tutte le difficoltà e di tutti gli ostacoli appena descritti, l’iniziativa individuale, il volontariato spontaneo c’è e cresce, e in questo la Russia, così apparentemente lontana dall’Ucraina, le dà fraternamente la mano. A un recente convegno sugli “Uomini liberi in azione” è stato ricordato che in Russia il volontariato coinvolge oggi l’1,5% della popolazione, sembra una percentuale insignificante, ma si tratta di quasi 2 milioni di persone, e questa non è poca cosa in un paese dove la tradizione del volontariato non era mai esistita, anzi era stata sistematicamente soffocata dal regime sovietico. In più ci sono i movimenti di coscienza, come l’Unione delle madri dei soldati, che sta facendo un enorme lavoro informativo sui soldati russi caduti in Ucraina. 

Dunque, tra Putin e il paese un certo scarto c’è. Non è vero che il paese è la sua immagine riflessa, o per lo meno non è solo questo. C’è un movimento dal basso, una forma di “democrazia in nuce”, che sembra rinascere sempre di nuovo. Di fronte all’inerzia della mentalità sovietica che riaffiora continuamente, c’è la forza ancora più pervicace di una coscienza personale irriducibile, che attende sempre di sbocciare per tutti.

Interrogato sulla minaccia più che reale che Memorial sia chiusa, il suo presidente Arsenij Roginskij ha dato di questa coscienza irriducibile una testimonianza disarmante: “Se la Corte Suprema deciderà di farci chiudere, questo non vuol dire che saranno chiuse tutte le organizzazioni di cui siamo costituiti. Alcune dovranno rifare la registrazione, e scoveremo il modo di unirci di nuovo. Semplicemente per questa storia ci faremo un po’ di sangue cattivo e sprecheremo molte energie, ma non riusciranno a far sparire il movimento della società civile”.

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